Covid, governo e regioni in ordine sparso

accettazione Covid

Il governo vuole a tutti i costi evitare un nuovo lockdown generale. È una scelta comprensibile: il premier Conte sa che obbligare gli italiani a starsene asserragliati a casa per altre settimane o forse mesi non sarebbe sostenibile né a livello economico né a livello di tenuta sociale.

È essenzialmente per questa ragione che ci stiamo baloccando con le regioni a colori, la cui assegnazione dipende da 21 parametri costantemente aggiornati ma anche dalla discrezionalità del governo e dei vertici di ciascuna regione.

La situazione è piuttosto caotica e presenta contesti inconcepibili quali quello calabrese. Il primo commissario alla sanità aveva il compito di redigere un piano anti-Covid ma non lo sapeva; il suo successore, candidato alle elezioni in quota Liberi e Uguali, si è fatto sbertucciare a poche ore dalla nomina per avere rilasciato in un video poi finito sui social in cui affermava la completa inutilità delle mascherine; e il terzo, secondo la consueta demenziale soluzione grillina, sarebbe addirittura Gino Strada, fondatore di Emergency, personaggio simbolo nella creazione di ospedali da campo in luoghi di guerra ma completamente estraneo alla sanità pubblica italiana, al Covid e nello specifico ai molti guai della Calabria. Avere appreso che Conte ha chiamato Strada per sondarne la disponibilità muove a qualche sconforto circa la serietà dell’attuale governo.

Di altra natura i problemi in Lombardia, dove di nuovo si situa l’aggressione virale più intensa. Gli ospedali faticano a reggere l’impatto dei potenziali malati e contagiati. Si cercano nuovi spazi da occupare per installarvi posti letto e terapie intensive. Si prendono a noleggio spazi sportivi e persino hotel di lusso.

La sola buona notizia riguarda la lieve flessione del numero dei contagiati in relazione all’esercizio dei tamponi. La curva rimane alta ma non cresce come a fine ottobre o ad inizio novembre. Può trattarsi di un primo effetto delle misure restrittive.

Pessimo, invece, il bilancio delle vittime. Martedì 10 novembre ha contato 580 morti, cifra prossima ai record della scorsa primavera, in forte aumento anche rispetto ai dati della settimana scorsa.

I virologi discutono e a volte litigano tra loro, ma nella sostanza il messaggio che arriva è sempre lo stesso: non sottovalutate la gravità della situazione, evitate i contatti con l’esterno per quanto possibile, e se non è possibile utilizzate le mascherine e le regole precauzionali di base.

La prospettiva dell’arrivo entro pochi mesi di uno o più vaccini anti Covid disegna un orizzonte finalmente libero dall’emergenza. Di qui ad allora, tuttavia, il percorso non si presenta senza intoppi. È in arrivo la stagione fredda e con essa le normali influenze.

Per quanto sconcertante possa sembrare, in Italia mancano la bellezza di 15 milioni di vaccini. È già in atto una corsa al siero antinfluenzale e la situazione è destinata ad aggravarsi soprattutto perché in moltissimi casi i sintomi dell’influenza somiglieranno a quelli di chi è ammalato di Covid. Già sta accadendo: mancano medici e personale sanitario e scarseggiano anche i medici di base. Una corretta prevenzione evita che si rafforzino i fattori di rischio. Ma quanto siamo disponibili a praticarla?

La prima fase della pandemia e il lockdown conseguente furono accolti in modo ordinato e responsabile dalla grande maggioranza degli italiani. Oggi si è meno disponibili ad accettare le limitazioni della libertà personale anche perché alla fine dell’estate eravamo un po’ tutti convinti che il peggio fosse passato.

Per dare un’idea delle proporzioni sulle cause di mortalità, va ricordato che attualmente in Italia ogni 24 ore muoiono 650 persone per infarto e similari, 580 di Covid e circa 400 di cancro. Per curare i malati di Covid in emergenza è ovvio che ne risentano le cure di chi soffre di altre gravi patologie. I nostri ospedali non sono attrezzati per questo. Siamo chiamati a uscire al più presto dall’emergenza.