Come chiudere gli anni di piombo

Giorgio Pietrostefani Adriano Sofri

È finita oggi la dottrina Mitterrand, quel codice di comportamento che il presidente socialista francese adottò in un celebre discorso nel 1985 per concedere il diritto di asilo a quelle persone che avessero subito condanne all’estero alla cui base vi fossero motivazioni politiche.

Sette arresti per altrettante figure di rilievo della lotta armata nell’Italia degli anni Settanta, perlopiù ex brigatisti rossi, dei quali il più noto è tuttavia uno che con le Brigate rosse non aveva avuto a che fare, ossia Giorgio Pietrostefani, capo organizzativo di Lotta continua nei primi anni Settanta accanto ad Adriano Sofri, condannato a ventidue anni di carcere in qualità di mandante dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto nel 1972.

Ai tempi del suo arresto in Italia, estate 1988, Pietrostefani viveva a Reggio Emilia. Ai tempi la sorpresa fu generale: le fotografie rimandavano a un manager in giacca e cravatta, perfettamente adattato alla funzione ricoperta, manager di alto livello nelle Officine Reggiane all’epoca controllate dalla società di Stato Efim. Come poteva un uomo così pienamente integrato nel sistema imprenditoriale nazionale essere stato il mandante di uno tra gli omicidi politici più efferati della seconda metà del Novecento?

Sciolta Lotta continua dodici anni prima, rinnegate le giovanili infatuazioni marxiste, Pietrostefani si era rifatto una vita senza particolari intoppi. Fu la testimonianza di un solo compagno di allora, il “pentito” Marino, ad accusare lui, Sofri e Ovidio Bompressi come mandanti e complici del delitto. Seguirono processi e processi e infine la condanna a ventidue anni di carcere.

Pietrostefani trascorse due anni in carcere poi, alla vigilia dell’applicazione definitiva della pena, si rifugiò in Francia come altri ex protagonisti degli anni di piombo. La dottrina Mitterrand gli concesse protezione sino ad oggi.

Commentando gli arresti il presidente Macron dice che no, “Pietro” e gli altri condannati per terrorismo non avevano diritto al trattamento previsto dalla dottrina. Ma di fatto la decisione chiude una partita storica. Per i sette catturati è in vista l’estradizione in Italia.

La generale soddisfazione con cui l’operazione denominata “Ombre rosse” è stata accolta dalle forze istituzionali e politiche italiane, Draghi su tutti, consente di osservare al passato con gli occhi del presente. Ciò che emerge, soprattutto nei social, si divide più o meno in due linee di pensiero: chi è mosso da sentimenti di gratitudine verso la Francia per avere concesso di voltare pagina con quel periodo tragico della nostra storia, e chi si concentra invece su auspici di mera vendetta verso i catturati.

A me pare che questi arresti segnino la distanza tra l’Europa del passato e l’Europa di oggi, nella quale non esiste spazio per la violenza politica. Fuggire a Parigi per rifarsi una vita, in quegli anni, aveva un vago profumo di libertà per chi avesse morti sulla coscienza e li volesse rimuovere almeno nella psiche. Nemmeno la Francia odierna è quella di Mitterrand.

E si vorrebbe diversa anche l’Italia. Non più negletta tra alleati, non più pervasa da irrazionalismi e furbizie. Un paese maturo, solido, nel quale non si fanno sconti e dove non si perde la memoria. Anche da come verranno trattati Pietrostefani e compagnia dipende una fetta della nostra credibilità.