Anche Putin è nostro fratello

Don Giuseppe Dossetti

Torniamo al tema della consacrazione, di quell’atto di affidamento al Cuore Immacolato di Maria compiuto da Papa Francesco il 25 marzo scorso. Ho già detto che la parola suscita un certo imbarazzo, tant’è vero che certi giornali non hanno neanche dato la notizia: forse hanno pensato che si trattasse di un atto liturgico, interno alla Chiesa, e di scarso interesse e di nessuna influenza sulla situazione in atto.

L’imbarazzo aumenta, se si considera che il Papa non solo affida se stesso e invita i credenti a compiere il medesimo gesto. Se si trattasse soltanto di questo, sarebbe possibile vedervi un significato anche in prospettiva laica: nell’affidarsi, l’uomo esce dalla propria superbia e dall’egoismo, riconoscendo i propri limiti; poi, non è male immaginare una comunicazione tra cielo e terra, tra il visibile l’invisibile, sentirsi parte di un popolo in cammino, con dei fratelli maggiori e una Madre che vegliano su di noi.

Rimane però un ostacolo apparentemente insuperabile: il Papa ha consacrato non solo se stesso, ma anche la Russia e l’Ucraina. Come è possibile, soprattutto in questa materia, agire in persona altrui? A meno che non ne diamo un’interpretazione annacquata, come se si trattasse dell’espressione di un pio desiderio. Ma questa non sembra essere l’intenzione dei protagonisti, a cominciare da Colei che ha legato alla consacrazione della Russia un ben preciso mutamento nella storia del mondo.

Continuo a pensare che questo gesto, compiuto con la massima consapevolezza e solennità dalla Chiesa cattolica, abbia un senso molto concreto, ma solo se consideriamo la visione dell’uomo che viene presupposta, così diversa da quella alla quale siamo abituati. Si tratta di un’”antropologia” molto antica, che troviamo non solo nel cristianesimo, e che è comune anche in Europa fino al Quattrocento, alla grande svolta dell’Umanesimo. Per noi, oggi, l’uomo è un individuo, un soggetto che può entrare in relazione con altri individui, con le cose e con il mondo: come ne è entrato, così ne può uscire. La relazione è un “accidente”, in senso aristotelico: qualcosa che può esserci o non esserci, che non cambia la natura profonda dell’essere umano. Soltanto da poco, ci si sta accorgendo che l’uomo esiste nella relazione, che quindi c’è, con gli altri esseri umani e anche con il cosmo, un’unità antecedente, senza la quale io semplicemente non esisto. Gli antichi esprimevano questo concetto con l’immagine del corpo e dell’unità vitale dei suoi membri. Essi erano convinti che non si trattasse di un modo di dire, di un paragone, bensì di qualcosa pienamente reale, con la conseguenza che il benessere del corpo dipende dall’armonioso benessere delle membra. San Paolo, per esempio, afferma: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1Cor 12,26).

Se per un attimo guardiamo le cose in questo modo, ci rendiamo conto della responsabilità che incombe su ciascuno di noi. Ogni atto umano ha conseguenze per tutti gli altri uomini. E’ proverbiale il detto che “ il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Da noi dipende l’introduzione di veleni in questo corpo e, in una certa misura, anche la sua sanazione.

In questa prospettiva, la Russia e l’Ucraina ci appartengono e noi apparteniamo a loro. La guerra è un suicidio, proprio perché è lo spezzarsi massimo di quella relazione che ci costituisce. Ora, in nome dell’unità del corpo, ciascuno di noi ha la possibilità e il diritto di compiere quegli atti che contribuiscono alla pace e alla armoniosa collaborazione delle membra. Ciascuno di noi ha una funzione di rappresentanza per tutto il corpo, certamente rispettando la libertà e la responsabilità altrui.

Tutto questo, che penso sia vero qualunque sia il nostro credo, acquista nel Cristianesimo un senso particolarmente forte. Infatti, di questo corpo fa parte il Cristo, cioè Dio entra nella fisicità del corpo dell’umanità. L’incarnazione è questo e a questo serve il rito fondamentale della Chiesa, cioè la Messa, nella quale possiamo unirci al corpo e al sangue di Gesù. Consacrare la Russia, vuol dire affermarne la dignità e il ruolo nel corpo dell’umanità; ma vuol dire anche esercitare un atto fraterno e responsabile, il sostegno a un membro in difficoltà: è un atto di pace, in mezzo a tanto fragore di parole armate.

Ciò che fa male e che va assolutamente cambiato, è che non si parla di pace, ma solo di guerra. L’avversario diventa il male, il demoniaco, il radicalmente estraneo. Capisco che si faccia un po’ fatica a considerare Putin un fratello, ma egli lo è e per questo ha diritto alla nostra preghiera.