“Amerai il tuo prossimo come te stesso”

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Trentunesima Domenica del Tempo Ordinario, Anno B – 4 novembre 2018
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)


In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».


Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 


Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

A dodici anni, Gesù va per la prima volta a Gerusalemme e, senza che i suoi genitori se ne accorgano, vi rimane, mentre Giuseppe e Maria lo cercano angosciati: “Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte” (Lc 2,46-47).

Troppo spesso si attribuisce a Gesù un atteggiamento polemico verso Israele, un conflitto, che incomincerà invece nella Chiesa, quando la predicazione degli apostoli si rivolgerà ai pagani. L’atteggiamento di Gesù dodicenne è lo stesso del Rabbi ormai prossimo alla morte: è in nome della fede di Israele, portata alle estreme conseguenze, che egli darà la sua vita.

Tra lui e lo scriba c’è uno scambio rispettoso, quasi tenero; rispondendosi a vicenda, fanno progredire la conoscenza del significato profondo del comandamento. Non basta parlare di amore: devono essere tolti i limiti, tutti quelli che l’uomo pone per difendersi dalle sue esigenze.

Tutto l’uomo e tutti gli uomini sono coinvolti. Ma, in particolare, non c’è amore senza il sacrificio. “Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi”, così aveva detto il Salmo 51, il “Miserere”.

Il sacrificio gradito a Dio è il sacrificio spirituale, quello che l’uomo offre non nel rito, ma nella sua vita quotidiana, quando ne accetta i limiti, quando liberamente si sottomette alle circostanze, alle esigenze del suo stato di vita, quando responsabilmente resiste per motivo di coscienza agli idoli, alle minacce e alle seduzioni.

Io ho avuto la fortuna di conoscere tante persone che hanno vissuto così. Tra tutte, voglio ricordare tanti operai, che ho conosciuto intimamente: c’era in loro la serenità del servizio prestato alle loro famiglie, la libertà interiore di chi compiva il proprio dovere, senza rinunciare a un ideale di solidarietà, vissuto anzitutto assieme ai propri compagni.

Il loro cuore era libero: per questo il loro pensiero andava spesso a quel Dio che non era lontano, perché aveva preso una forma simile alla loro, nel nascondimento dell’umile mestiere di carpentiere a Nazaret, nell’accettazione della fatica e della croce.

Non sei lontano dal regno di Dio”. Manca dunque qualcosa? No, lo scriba sapiente è arrivato alla soglia del mistero; esso si disvelerà dopo pochi giorni, quando amore e sacrificio diverranno parole cariche di inauditi significati. Mi piace pensare che questo scriba sia Nicodemo o Giuseppe di Arimatea, figure notturne, che guardano da lontano il dramma che si svolge sul Golgota e che accolgono tra le braccia il corpo di Gesù, quando l’hanno calato dalla croce, con la reverenza di chi sa che si è compiuto qualcosa che oggi non comprendono, ma che diventerà la luce della loro vita.

Tutto è riportato al “cuore”. Esso non è, nella Bibbia, la sede dei sentimenti: in esso tutte le facoltà dell’uomo si uniscono, perché egli prenda decisioni e compia atti davvero “totali”, senza quelle riserve, quelle vie di fuga, le furberie e gli equilibrismi con i quali cerchiamo di non dispiacere a nessuno, neanche a Dio, pur conservandoci la possibilità di ritrattare o almeno di negoziare.

Mi pare che abbiamo bisogno di questa “totalità”. Essa è difficile soprattutto per chi è posto in alto, in posizioni di responsabilità. Egli rischia di non essere libero: la preoccupazione di conservare il consenso e quindi il potere lo possono portare al compromesso con la sua coscienza, a essere debole verso gli interessi e i privilegi.

Amare Dio con tutto il cuore vuol dire avere una sola preoccupazione, quella di fare la sua volontà, con umiltà, senza la preoccupazione del successo a ogni costo. Nulla è più prezioso di questa libertà, nulla è più efficace per il bene di una comunità.

Oggi, poi, ricorre il centenario dell’armistizio tra l’Italia e l’Austria-Ungheria: si concludeva “l’inutile strage”, che sarebbe stata fonte di altre disumane sofferenze. Rimane la domanda: come è stato possibile che nazioni cristiane si scannassero così crudelmente? E perché le Chiese non sono riuscite a dire una parola profetica, come quella di Benedetto XV? E cosa si deve fare affinché tutto ciò non si ripeta?

Soltanto se ci misureremo con queste domande onoreremo veramente quei milioni di poveri morti, ben sapendo che non c’è una risposta data una volta per tutte, ma la faticosa ricerca di un’onestà che ci permetta di riconoscere il male nel suo inizio, smascherandone le giustificazioni.

Facciamo nostra la preghiera pronunziata dal nostro Vescovo il 24 maggio 2015, nell’anniversario dell’inizio della guerra, davanti al memoriale dei caduti, nella cripta della Cattedrale:

O Dio,
Padre di tutti gli uomini,
che riconosci in ogni uomo l’immagine del tuo Figlio Gesù,
ti affidiamo questi nostri fratelli:
anch’essi furono inchiodati, alla pesante croce della guerra.
Furono le mani di altri fratelli che gliela imposero.
Per questa strage fraterna, ancora una volta chiediamo il tuo perdono.
Le braccia distese del nostro Salvatore sono il segno della tua universale misericordia:
accogli e perdona.
Manda il tuo santo Spirito sulla nostra generazione
perché non venga meno il ricordo di tante sofferenze.
Egli ci liberi dal demone della violenza e dalla seduzione della forza;
ci aiuti a purificare i nostri cuori e i nostri sguardi
perché anche le nostre mani possano operare la pace.
Ci assista la Vergine, madre di Gesù e nostra,
invocata nell’ora della morte:
ci renda consapevoli e umili,
perseveranti nel bene e generosi nel perdonarci gli uni gli altri
e nell’accoglierci a vicenda, nel nome di Gesù. Amen.