All’Ariosto l’inquietudine di 1984

orwell
8.2

In scena al teatro Ariosto di Reggio Emilia 1984, coproduzione di ERT Emilia Romagna Teatro e CSS Teatro Stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia.

Il Regista britannico Matthew Lenton si mette alla prova con uno dei romanzi più importanti di tutto il Novecento, 1984, e per farlo si cimenta con un cast tutto italiano. Il lavoro sul testo, a cura di Lenton e Martina Folena, risulta ben fatto: scorrevole e incalzante, non presenta buchi di trama rilevanti. Sono state ovviamente necessarie delle scelte per ridurre il materiale orwelliano ad un totale di due ore, ma la selezione pare giusta.

Orwell colora la sua scrittura di dettagli e caratterizzazione dei personaggi precisissimi che rendono quel mondo plausibile e perciò ancora più angosciante; perciò il confronto con questo capolavoro distopico non è semplice.
Lo spettacolo risulta efficace innanzitutto per la sua essenzialità: la scena è racchiusa da tre rettangoli di neon coronati al centro dal teleschermo e dall’occhio dell’onnipresente Grande Fratello. Oltre a questo, in scena c’è poco, il palco viene riempito dagli attori e dalla loro frenesia angosciante.

Risulta tutto molto asettico, le luci sono fredde e gli abiti scuri; unico tocco di colore viene dato dalla narratrice, con la sua morbida camicia rossa, che non a caso è l’unica a sedersi nella poltrona illuminata dalla fioca e calda luce della lampada al suo fianco. La regia restituisce l’inquietudine del mondo inventato da Orwell, lo spettatore non ha pace. Bella l’idea di accendere la luce accecante dei neon per i cambi scena e intelligente la scelta di non farlo ogni volta; ricorda l’intrusione dello stato nella vita di Winton Smith: invadente e inaspettata. Lo spettatore non può rimanere tranquillamente seduto sulla sua poltrona, arriva sempre qualcosa a destarlo e infastidirlo, come le torce della psicopolizia che vengono ripetutamente puntate sul pubblico.

Bellissimo il rapporto che si crea fra Winston e la sua mente a cui dà voce la narratrice Nicole Guerzoni, che ci regala la prova attoriale migliore con la sua voce ipnotica. Spiazza il contrasto fortissimo fra i pensieri rivoluzionari di Smith e la sua quasi totale impassibilità esterna. Molto debole invece l’amore fra il protagonista e Giulia, i due attori, Luca Carboni e Antonietta Bello, purtroppo non riescono a creare l’intimità che questa relazione richiederebbe e risulta infatti forzato che durante l’interrogatorio Winston terrorizzato urli a squarciagola il nome di Giulia.

1984 ha purtroppo ancora molti punti di contatto con il presente, i teleschermi si sono rimpiccioliti e stanno in una mano. La differenza più pericolosa è che oggi siamo noi a decidere che i social possono entrare nella nostra intimità, sapere tutto di noi. Winston è consapevole di chi lo opprime, è lo Stato che gli ordina cosa può e cosa non può fare; oggi a opprimerci è un algoritmo, che decide cosa vediamo e cosa no, senza che noi sappiamo in base a quali parametri; noi non siamo consapevoli.

Inquietante anche il ragionamento sulla neolingua: un dizionario che di anno in anno riduce i suoi lemmi invece di aumentarli ricorda tristemente la comunicazione di oggi, sempre più scarna di ragionamenti e sempre più binaria nelle sue opinioni: o bianco o nero, non esiste sfumatura; allo stesso modo in neolingua vengono aboliti i contrari, il termine cattivo non serve, basta sbuono, che è per altro il preciso opposto di buono. Un linguaggio limitato porta ad un pensiero limitato, se non si conoscono parole per esprimere dissenso, allora non rimane che essere d’accordo.

Lo spettacolo comincia con un dibattito con il pubblico, che dopo poco risulta finto, che ci spiega proprio i legami del romanzo del 1948 con la società odierna. Lo stratagemma non è pienamente vincente, in primis perché smascherato velocemente, secondariamente, e con un velo di tristezza, perché le luci dei telefoni continuano ad accendersi anche durante lo spettacolo.

I nostri voti


Regia
9
Attori nel complesso
6.5
Adattamento
9