Affidi. “Sistema vecchio. Pochi supervisori”

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Un sistema di protezione dell’infanzia regionale e nazionale che è “un meccanismo estremamente complesso, con ingranaggi che talvolta non si incastrano bene” e con una difficoltà di interazione tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti, come servizi sociali, autorità giudiziaria e servizi sanitari. È il quadro tracciato dai Garanti per l’infanzia Clede Maria Garavini, attualmente in carica, e Luigi Fadiga, che ha ricoperto il ruolo dal 2011 al 2016, ascoltati oggi in Commissione speciale d’inchiesta sul sistema di tutela dei minori in Emilia-Romagna. “In tutta Italia c’è una forte disgregazione nel sistema dei servizi territoriali- ha sottolineato Fadiga- che in Emilia-Romagna sono ‘aggregati’ in base a parametri specifici sulla tutela dei minori in 308 unità strutturate in gruppi e facenti capo a 58 enti gestori differenti. Questo rende molto difficile l’interazione e l’individuazione degli interlocutori a livello locale”. Garavini ha sottolineato poi come il compito del Garante sia principalmente di moral suasion, ovvero di sensibilizzare e promuovere la tutela dei minorenni attraverso sollecitazioni e raccomandazioni: “Quando interviene l’autorità giudiziaria la nostra attività si deve fermare, non possiamo andare oltre, a meno che non vengano riviste le normative”. E una particolare attenzione viene riservata al ruolo “delicato” degli assistenti sociali: “Se non procedono ad allontanare un minore in situazione di grave disagio, possono incorrere anche in una denuncia per omissione di atto d’ufficio”, ha spiegato Fadiga. “È un mestiere complesso e spesso i servizi si trovano sotto organico “.

Stefano Bargi della Lega ha chiesto a questo punto all’ex Garante Fadiga di concentrarsi sulla Val d’Enza e, nello specifico, sulla segnalazione da lui fatta in Commissione Parità di una situazione “particolarmente” critica proprio in quel distretto del Reggiano riguardo al numero di minori vittime di violenza nel 2015 (13 casi). “Ebbi un incontro con i servizi, che poi furono auditi in commissione,- ha risposto Fadiga- e mi riferirono di situazioni all’epoca gravi, devastanti e giustificative dunque di un allontanamento. Feci una raccomandazione dove dissi a tutti gli organi competenti di vigilare sulle situazioni di maltrattamento in quella zona”. Gabriele Delmonte (Lega) ha chiesto allora come mai gli assessori regionali al welfare e alla sanità, la presidente della Commissione Parità Mori e l’assessore dell’Unione Val d’Enza non avessero dato una risposta a quella sollecitazione. “Non erano tenuti a farlo per legge”, ha risposto il Garante, mentre la presidente Mori ha precisato di non aver mai ricevuto il testo: “Abbiamo fatto una ricerca, ora stiamo approfondendo con grande attenzione”.

Fratelli d’Italia con Giancarlo Tagliaferri porta l’attenzione sull’incontro della Garante col Centro La Cura avvenuta nel 2017 e in cui Garavini espresse parole di “apprezzamento” per quella realtà, mentre Fabio Callori (FdI) si è concentrato sulla funzione dei garanti regionali: “Così è solo una figura di rappresentanza che non può ‘garantire’ nella pratica i minori. Mettiamo mano celermente alla normativa per risolvere criticità e anomalie, perché oggi ne sono state segnalate tante”. Riguardo al convegno Garavini ha quindi precisato che si era trattato di un incontro di presentazione per discutere della sua collocazione rispetto ai servizi: “Io ho parlato di difficoltà nella difesa dei diritti e dell’importanza del rigore metodologico”. E sulle indagini puntualizza: “Non ho mai ricevuto alcuna telefonata da assistenti sociali coinvolti nell’inchiesta ‘Angeli e demoni'”. Michele Facci (FdI) ha chiesto ai Garanti un’opinione sulla Carta di Noto e sulla dichiarazione di intenti del Cismai: “Dal punto di vista giuridico sono sullo stesso piano- ha risposto Fadiga- da un punto di vista psicoterapeutico non posso rispondere, non è il mio mestiere”.

Paolo Calvano (Pd) ha sottolineato l’importanza della prevenzione ed è tornato sul tema della difesa tecnica dei genitori, anche attraverso un avvocato d’ufficio: “Ritenete anche voi che per i genitori non ci sia abbastanza contraddittorio in base di dibattimento?”. Fadiga ha convenuto nel dire che il sistema di difesa nei procedimenti civili di protezione “è gravemente carente, sia per i genitori che per i minori”. Igor Taruffi (Si), vicepresidente della commissione ha portato invece i numeri degli assistenti sociali in regione, 2.520 operatori contro 3.000 minori allontanati: “Sono numeri soddisfacenti o inferiori alle necessità?”. “Non sono abbastanza e la carenza di organico si riscontra anche nei tribunali”, ha risposto Fadiga, il quale prima di ricoprire l’incarico di Garante dei Minori in Emilia-Romagna è stato presidente del Tribunale minorile di Roma.

Silvia Piccinini (M5s) ha portato l’attenzione sul ruolo delle equipe multidisciplinari di secondo livello: “Possono essere una soluzione? Che fare per risolvere i problemi di comunicazione tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti?”. Garavini ha spiegato che spesso, nonostante le prescrizioni normative, queste equipe non sono attive a livello locale (“Anche in Val d’Enza non so se ci fosse”), mentre Fadiga ha puntualizzato: “Alcuni miglioramenti ci sono stati, soprattutto nel rapporto tra servizi e avvocati. La Commissione tecnica della giunta potrà indicare interventi legislativi utili, sono possibili”. Raffaella Sensoli (M5s), anche lei vicepresidente della commissione, torna sulla Val d’Enza e chiede se fossero arrivate segnalazioni ai Garanti da parte dei genitori coinvolti e se la situazione poteva essere fermata: “Le segnalazioni erano arrivate- ha risposto Fadiga- ma era già intervenuta l’autorità giudiziaria e come garante non potevo procedere oltre”.

In audizione in commissione anche i referenti della Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati, il presidente Carlo Lucarelli e la direttrice Elena Buccoliero.

Dai consiglieri, in particolare da Stefano Bargi e Gabriele Delmonte della Lega, sono state chieste a Lucarelli informazioni sui finanziamenti erogati dalla fondazione. Mentre Michele Facci e Fabio Callori di Fratelli d’Italia, pur riconoscendo a Buccoliero la totale estraneità all’inchiesta in atto, hanno chiesto chiarimenti sui rapporti con i protagonisti dell’indagine reggiana e di riferire sulle ipotesi di conflitto d’interessi tra i ruoli che ricopre o che ha ricoperto in passato. Sul doppio ruolo di giudice onorario a supporto dei magistrati minorili e di direttrice della Fondazione in passato erano intervenuti criticamente Lega e M5s. Sulla gestione e sul lavoro della Fondazione altre domande sono arrivate da Igor Taruffi di Sinistra italiana che ha chiesto quanti siano i giudici togati ed onorari del Tribunale dei minori regionale, da Marco Pettazzoni della Lega e da Silvia Piccinini dei Cinquestelle.

Carlo Lucarelli ha riferito che “le istanze su minori accolte collegate a comuni della Val d’Enza, dal 2014, sono dieci, per una spesa complessiva di 70 mila euro”. Lo scrittore ha anche spiegato “di non sapere se le richieste approvate dalla Fondazione riguardino minori coinvolti nelle indagini reggiane, questo anche perché i loro nomi sono coperti”.

Elena Buccoliero ha invece ribadito di “non fare parte delle 27 persone indagate”. Spiegando, anche sul presunto conflitto d’interessi, di non avere commesso illeciti, né come giudice né come direttrice della fondazione. Buccoliero ha comunque premesso di avere avuto rapporti di lavoro con alcuni soggetti coinvolti nell’inchiesta. Ha poi smentito che i giudici decidano solo sulla base dei rapporti dei servizi sociali, e rimarcato di non avere mai avuto la percezione “dell’esistenza di un metodo Foti” inteso come metodo autonomo e formalizzato. Ha poi voluto appellarsi alla commissione chiedendo un impegno a rafforzare il sistema pubblico dei servizi regionali rivolti ai minori. Rispondendo al vicepresidente Taruffi Buccoliero ha poi chiarito come al Tribunale dei Minori di Bologna, competente per tutta la Regione, “lavorino 6 giudici togati e 36 giudici onorari”.