Estorsioni e bancarotta alla casa di riposo di Alto Reno Terme: 23 persone denunciate, due in arresto

Guardia di finanza controllo

I militari dei comandi provinciali della Guardia di finanza e dei Carabinieri di Bologna hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di due persone di origine crotonese e un sequestro preventivo diretto e “per equivalente” (nei confronti dei medesimi soggetti e di altre 21 persone fisiche e giuridiche) per un controvalore di quasi due milioni di euro.

Le accuse riguardano, a vario titolo, i presunti reati di associazione per delinquere, estorsione (aggravata dal cosiddetto “metodo mafioso”), bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e per operazioni dolose, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, emissione di fatture per operazioni inesistenti, spendita e introduzione nello Stato di monete falsificate.

Le indagini hanno svelato l’esistenza di una consorteria criminale che alla fine del 2015 è subentrata nella gestione di una società (titolare di una casa di riposo ad Alto Reno Terme, nel Bolognese) in evidente stato di dissesto economico-finanziario: secondo gli inquirenti l’obiettivo era fin dall’inizio quello di distrarre gli asset societari, ovvero l’azienda stessa e l’immobile – del valore di oltre 7,5 milioni di euro – adibito a struttura residenziale per anziani.

Il disegno criminoso, progettato e messo in pratica dai principali indagati con la collaborazione di diverse “teste di legno”, sarebbe consistito nella stipula di un finto contratto d’affitto d’azienda tra la società appena rilevata e una cooperativa appositamente costituita dagli stessi indagati, con l’obiettivo di rendere i beni inappetibili sul mercato. Nel frattempo la pre-esistente società, già gravata da 4,4 milioni di euro di debiti, principalmente nei confronti dell’erario e di enti previdenziali e assistenziali, sarebbe stata portata al fallimento e svuotata della liquidità ancora presente sui suoi conti correnti.

Seguendo un vero e proprio modus operandi ormai collaudato, gli indagati avrebbero drenato liquidità da entrambe le aziende grazie ad assunzioni fittizie, fatture per operazioni inesistenti emesse da soggetti compiacenti (riguardanti lavori di ristrutturazione mai effettuati, acquisti fittizi di cespiti e prestazioni di servizio mai ricevute) e conti e carte di credito delle società utilizzati per acquisti estranei alle necessità aziendali.

Non solo: nell’ambito dell’operazione sarebbero emersi numerosi e gravi episodi estorsivi messi in atto, con modalità tipicamente mafiose, ai danni dei dipendenti della struttura, costretti a dimettersi volontariamente dopo ripetute minacce, atteggiamenti intimidatori e prevaricazioni di vario genere (come demansionamenti, mancato pagamento degli stipendi e “ferie forzate”). Gli stessi lavoratori sarebbero poi stati assunti dalla nuova società cooperativa: qualora invece si fossero rifiutati, sarebbe scattato il licenziamento in tronco.

Al termine delle indagini sono state 23 le persone denunciate, tra le quali anche i professionisti che hanno aiutato gli appartenenti al sodalizio criminale nella realizzazione del piano. Il pubblico ministero titolare delle indagini ha disposto anche diverse perquisizioni tra Emilia-Romagna, Lombardia, Campania e Calabria. Nel corso delle operazioni sono stati sequestrati agli indagati beni per oltre un milione e mezzo di euro: 120mila euro in contanti, una società immobiliare di Brescia, un esercizio di rivendita al dettaglio di generi di monopolio nell’hinterland milanese, due auto e nove orologi di pregio.