Covid: legami smog e diffusione virus

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Esiste un legame tra la diffusione del coronavirus Sars-CoV-2 e l’inquinamento atmosferico in Pianura Padana. Lo dimostra uno studio condotto dalla Sima, la Società italiana di Medicina Ambientale, che dopo sette mesi di peer-review da parte della comunità scientifica internazionale è stato pubblicato sulla rivista British Medical Journal. “Si tratta della quarta pubblicazione che abbiamo prodotto dal mese di marzo, quando ci siamo sentiti in dovere di avvertire i decisori politici, nel pieno dell’emergenza Covid-19, che la distanza di sicurezza di due metri (ridotta a un metro per gli ambienti indoor dal CTS governativo) non fosse sufficiente a garantire la sicurezza e che era necessario obbligare all’uso della mascherina tutti i cittadini in ogni luogo aperto al pubblico in un momento in cui si stava ancora discutendo dell’efficacia dei dispositivi di protezione individuale”, spiega Alessandro Miani, il presidente della Sima.

“Durante l’inverno, in Pianura Padana, è possibile riscontrare anche per diversi giorni consecutivi più di 150.000 particelle per centimetro cubo, con un impatto mortale sulla salute, anche in termini di mortalità evitabile, ormai acclarato dai rapporti annuali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente”, precisa Gianluigi De Gennaro, docente di Chimica dell’Ambiente all’Università di Bari. L’esperto aggiunge che in inverno la Pianura Padana diventa assimilabile a un ambiente al chiuso con il soffitto di qualche decina di metri, dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno favorito la circolazione del coronavirus.

Il professor Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente della Sima, spiega che nel corso dello studio è stato analizzato il numero di sforamenti per il PM10 sopra i 50 g/m3 per tutte le Provincie italiane, prendendo in considerazione il numero di centraline installate, la numerosità e la densità della popolazione, nonché il numero medio di pendolari giornalieri e turisti. “Il periodo esaminato andava dal 9 al 29 febbraio, in modo da tener conto dei 14 giorni di massima incubazione del virus e quindi degli effetti prodotti nelle prime due settimane di ondata epidemica in Italia (24 febbraio-13 marzo). Su un totale di 41 Provincie del Nord Italia, ben 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti, mente 62 Provincie meridionali su 66 si situavano ai livelli più bassi di inquinamento atmosferico. L’andamento degli sforamenti di PM 2.5 era pressoché sovrapponibile. L’effetto osservato era indipendente sia dalla numerosità che dalla densità di popolazione. Nel complesso, gli sforamenti di PM10 si rivelavano un significativo fattore predittivo di infezione da Covid-19, potendo spiegare la diversa velocità di propagazione del virus nelle 110 Provincie italiane”, conclude Piscitelli.