“Sono venuto a gettare fuoco sulla terra”

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Ventesima Domenica del Tempo Ordinario, Anno C – 18 agosto 2019

Dal Vangelo secondo Luca (12, 49-53).

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono
angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Tutta la sezione del vangelo di Luca, alla quale appartengono questi versetti, è dominata da un sentimento di urgenza drammatica. La conclusione la troviamo al capitolo 13,34ss: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi!”. Il tono di Gesù è quello di un lamento sconsolato: egli non è il giudice che viene a condannare, è venuto per dare un’ultima possibilità al suo popolo e non è stato accolto. La crisi incombe. Anche nel vangelo di oggi si avvertono il dolore e l’angoscia: la crisi coinvolge Gesù stesso, le immagini del fuoco e del battesimo rimandano alla sua passione. Egli voleva la pace e invece il suo messaggio porta divisione e conflitto. Ma egli non si sottrae, non può e non vuole sottrarsi.

C’è un personaggio, nell’Antico Testamento, che forse più di ogni altro è vicino ai sentimenti di Gesù: è il profeta Geremia, anch’egli rifiutato, insidiato a morte per il suo messaggio di conversione; egli tacerebbe, il suo spirito è delicato, il suo carattere è dolce, ma è costretto a opporsi, da solo, a tutto il suo popolo. Quando il Signore lo ha chiamato, gli ha detto: “Ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”(Ger 1,18-19). Egli vorrebbe sottrarsi a questo compito, che ha un prezzo troppo angoscioso. Ma ecco come egli parla di ciò che avviene nel suo cuore: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: “Violenza! Oppressione!”. Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”(20,7-9).
Ci troviamo quindi di fronte a parole che ci permettono di gettare uno sguardo nell’intimità di Gesù, di riconoscere il prezzo che egli sta pagando per la sua missione.
Anche noi siamo coinvolti in questo dramma. In realtà, non lo vorremmo. Preferiremmo la virtù secondo Aristotele, “vivere secondo ragione”. Preferiremmo aderire a valori nobili, che dessero armonia alla nostra vita. Preferiremmo un Dio meno coinvolto con l’uomo. Ma questa è la realtà dell’uomo: Gesù non opera riduzioni aristocratiche: forse proprio per questo l’imperatore filosofo, Marco Aurelio, ha perseguitato i cristiani, e Nietzsche ha lanciato l’accusa che la predicazione di Gesù va bene per gli schiavi, non per gli uomini superiori. Certo, parlare di un Salvatore crocifisso è follia, lo riconosce anche san Paolo; ma è proprio quella follia di Dio la risposta al dolore e al male del mondo, è la follia dell’amore.
Dunque, anche in noi, nel nostro intimo, passa la divisione; lo è stato persino, anzi, sommamente per Maria. Il vecchio Simeone gliel’aveva predetto, quando portò il suo bimbo al Tempio: “Egli è qui come segno di contraddizione, e anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35s.). Più che il dolore, la spada indica la necessità della decisione. Non il dubbio: il dubbio è un meccanismo di difesa, il tentativo di rinviare ciò che mi è chiesto qui e ora. Infatti, Simeone continua: “Perchè siano rivelati i pensieri di molti cuori”. In realtà, la parola “pensieri” traduce il greco “dialoghismòi”, la stessa radice di “dialettica”. E Paolo ammonisce: “Fate tutto senza mormorazioni e dialoghismòi” (Fil 2,14). L’indecisione non deriva da mancanza di comprensione, ma esattamente dal suo contrario: proprio perché abbiamo capito, cerchiamo un appiglio per non prendere posizione. Il guaio è, che non si può barare con se stessi: prima o poi, il prezzo sarà la tristezza e il ripiegamento su noi stessi, oppure la ricerca di qualcosa che ci distolga da questi pensieri scomodi. Solo la decisione scioglierà i dubbi, darà serenità e vigore.

La casa dell’uomo viene divisa da questa esigenza radicale, dalla richiesta della fede, dallo scandalo della croce, da una parola che “è viva, efficace e tagliente più di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto” (agli Ebrei 4,12-13). Tuttavia, questo non è male: viene richiesto un “sì” al “Tu” divino, che però è anche un “sì” a noi stessi, a ciò che è più vero di noi. Le richieste di Dio non sono fatte per rendere l’uomo schiavo o dipendente, ma per aiutarlo a raggiungere la libertà piena, superando le paure e i compromessi al ribasso. Forse, qualcuno non riuscirà a pronunziare il nome di Dio. Ma se c’è qualcuno che è onesto con se stesso, se egli accetta di mettersi in gioco per quella verità che sgorga dal fondo del cuore, se egli ha l’umile fermezza di decidere ciò che è giusto, senza calcoli di convenienza, quell’uomo è fratello di Gesù e anche mio.