Scommesse contro l’Italia

Comprendere come incidano i poteri forti (quelli veri) sugli scenari politici internazionali è semplice. Basta osservare con un minimo di attenzione le scelte dei grandi fondi di investimento che regolano gli equilibri della finanza internazionale.
 
La storia italiana ricorda due episodi fondamentali di aggressione del grande capitale alla stabilità dei conti nazionali. Nel 1992, quando il finanziere di origini ungheresi George Soros guidò un’azione spericolata in aggressione sulla lira, obbligando nel giro di poche settimane il governo Amato a un forzoso prelievo clandestino notturno sui conti correnti dei risparmiatori, e nel 2011, con il celebre impazzimento dello spread sino a quota 575 punti di differenziale tra Bond tedeschi e Btp volto a mandare a casa il governo Berlusconi e imporre a Napolitano la creazione di un esecutivo "tecnico" a presidenza Mario Monti, al quale spettò la ben nota cura da cavallo sulla spesa pubblica (pensioni in primis) affinché i conti nazionali tornassero sotto controllo, quantomeno nella visione germanofila della valuta e dell’unione europea.
 
Oggi, a un mese dal rinnovo del Parlamento di Roma, si segnala un’operazione ribassista del fondo statunitense Bridgewater, il più consistente a livello mondiale, che tra ottobre e i giorni scorsi ha venduto allo scoperto le azioni di 18 tra le principali blue chips di Piazza Affari. Tra di esse si segnalano i big dell’economia nazionale: Intesa San Paolo, Enel, Eni, Unicredit Banco Bpm, Bper, Generali, Azimut. La scommessa di un prossimo ribasso del valore dei principali asset del paese non è di poco conto: da ottobre 2017 è passata da 1,1 a 3 miliardi di dollari.
 
Non c’è solo Bridgewater a vedere nero sul futuro prossimo della nostra economia. Anche il fondo Aqr Capital management si è mosso in forma analoga, seppure su dimensioni più ridotte, mettendo le banche nel mirino. Tra le più colpite ancora Bper, Banco Bpm, Ubi e Unicredit. Marshall Wace, infine, ha aperto posizioni ribassiste su una decina di società quotate, privilegiando anch’essa i titoli bancari.
 
Occorre terrorizzarsi? No. I fondi di investimento guadagnano sulla speculazione e su di essa realizzano profitti, le grandi masse di denaro si spostano costantemente alla ricerca delle migliori occasioni per portare a casa altra ricchezza.
 
Si tratta, tuttavia, di un segnale preciso. La possibilità che dalle urne non esca una maggioranza in grado di assicurare stabilità politica al paese viene vista come un pericolo. Le roboanti promesse che caratterizzano la campagna elettorale italiana – abbattimento di tasse, sfondamento dei parametri comunitari, politiche di spesa allegra, redditi di cittadinanza e quant’altro – vengono valutate con più attenzione da chi muove le leve della grande finanza piuttosto che, probabilmente, dagli stessi cittadini elettori. Ma l’incertezza regnante sul futuro delle coalizioni e dei partiti innervosiscono i mercati, i quali sono abituati a muoversi con anticipo e, inevitabilmente, a condizionare almeno in parte le scelte di chi si recherà ai seggi.