L’8 marzo del 2020 all’interno della casa circondariale Sant’Anna di Modena scoppiò una rivolta dei detenuti, nata per protestare contro il pericolo di diffusione del nuovo coronavirus all’interno della struttura penitenziaria emiliana e conclusasi con un bilancio di nove morti.
Lo scorso giugno il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Modena Andrea Romito aveva disposto l’archiviazione del fascicolo sulla vicenda, dopo che le autopsie avevano indicato nell’overdose da metadone e psicofarmaci la causa di otto di quei nove decessi, sopraggiunti – secondo le indagini – dopo che durante la rivolta i detenuti avevano saccheggiato la farmacia del carcere.
A quasi due anni di distanza da quei fatti, sono almeno quattro gli agenti della polizia penitenziaria di Modena iscritti nel registro degli indagati dalla procura emiliana, con le ipotesi di reato di tortura e lesioni aggravate; alcuni detenuti presenti il giorno della rivolta, infatti, hanno parlato di violenze e pestaggi avvenuti all’interno del carcere per sedare la protesta. Il fascicolo d’indagine è stato affidato ai pubblici ministeri Lucia De Santis e Francesca Graziano, e non è escluso che il numero degli indagati possa ancora salire.
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