Ping, ovvero l’ignoranza al potere

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8Quella di Luigi Di Maio non è una gaffe. E’ solo un segnale, l’ennesimo, e che non riguarda solo la sua persona, della formidabile e impressionante ignoranza di una cultura storico-politica di base che connota la gran parte delle figure del cosiddetto governo giallo-verde e della maggioranza che lo sostiene.

Esiste anche un fattore generazionale. I giovani, tranne rare e apprezzabili eccezioni, non studiano la storia. Li addestriamo a essere abili, capaci, preparati a entrare nella società, ma del secolo e dei decenni che li hanno preceduti sanno nulla o quasi. E questo è un guaio: perché se non conosci e riconosci ciò che è avvenuto prima di te, rischi di non conoscere e riconoscere gli errori e le tragedie che ti hanno preceduto.

Poche voci hanno ricordato nei giorni scorsi i seimila reggiani morti nelle trincee della Grande Guerra. Seimila reggiani, in una popolazione enormemente inferiore a quella attuale. Sono certo che se sottoponessimo i parlamentari a un test elementare sulle motivazioni che portarono a quella inutile strage, solo una risicata minoranza saprebbe rispondere correttamente.

Chiamare “presidente Ping” il capo assoluto della Repubblica Popolare cinese sarebbe equivalso ad appellare Mao con un risibile “presidente Tung”. Qualsiasi assemblea studentesca negli anni Sessanta o Settanta si sarebbe sbellicata dalle risate e l’autore della sciocchezza non avrebbe nemmeno raggiunto il diritto a riproporsi al microfono per il resto dei suoi giorni studenteschi per manifesta impreparazione.

Oggi che lo dice e ribadisce un giovane vicepresidente del Consiglio, per di più in occasioni ufficiali, l’esibizione di ignoranza viene derubricata a innocua gaffe. Nessun diplomatico cinese resterebbe al suo posto qualora, a parti inverse, si rivolgesse al ministro Di Maio chiamandolo “Gigi”. Perché in Cina, e non solo in Cina, la selezione della classe dirigente è considerata un valore condiviso. Da noi, no.