Musica. Esce Palmieri con 4 (Crediti cosmici dance floor)

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Se nella discografia la parola chiave è diventata “differenziazione”, in un momento storico in cui il nuovo mondo ha sconvolto gli equilibri che per anni hanno dominato e indirizzato il mercato discografico, l’idea in seno al progetto di Lorenzo Palmieri va nella giusta direzione.

E’ uscito l’album “4 (Crediti cosmici dance floor)”, anticipato dai singoli “Ghost In Translation” e “Tutte Le Strade Del Mondo”, ma è da “Quattro”, la mostra da poco conclusasi al Meme Gallery di Milano, che arriva una ventata di aria fresca: Lorenzo ha esposto nove foulard dedicati ai nove brani che compongono il nuovo album, realizzati in edizione unica nel distretto del Made in Italy della seta a Como (e ancora in vendita attraverso la Galleria, per chi volesse approfittarne).
Progettista multidisciplinare, architetto e musicista, in questo album, Lorenzo racconta – con uno sguardo profondo e disincantato – la vita di tutti i giorni; spaziando tra differenti generi musicali e dando quindi una visione multiforme dell’arte, capace di unire musica, design e grafica. Siamo quindi pienamente consapevoli di quanto tutto quello che lui faccia sia arte e parte essenziale della sua quotidianità, ed è proprio per questo che approfondiamo.

Lorenzo, tu progetti, insegni, suoni, produci, ma volendo forzare la mano, tra le due facce della medaglia Lorenzo, sei più propenso a vedere l’architettura o la musica come integratore essenziale della tua vita? Quale ambito alimenta l’atro?

<<Se ti devo dire la verità, c’è una terza voce, legata all’essere un progettista, che è quello di cui mi occupo veramente: la progettualità è una categoria che viaggia sopra le discipline, non le sminuisce. Le varie discipline chiedono di essere frequentate, vissute – e non a favore dell’improvvisazione; è l’attitudine, l’idea di progettare. Musica e architettura sono strumenti di tutto questo>>.
Nel 2017 sei stato nominato tra gli “Ambasciatori del Design Italiano” nell’ambito dell’Italian Design Day; in campo musicale hai scritto colonne sonore per teatro e installazioni; i tuoi lavori sono stati esposti in numerose mostre collettive e personali e hanno vinto importanti premi nazionali ed internazionali.

Come mai hai scelto il foulard, tra tutti gli oggetti che avresti potuto realizzare?

<<Non l’ho scelto io, l’idea è stata della curatrice della Galleria, che ad un certo punto mi ha proposto questo panorama. Non avevo mai lavorato su questo oggetto che mi affascina, perché ha un non so ché di antico, che in parte è uscito dall’uso quotidiano. Ho seguito la sua intuizione e mi è piaciuto moltissimo: ogni cosa che non conosco e che chiama un progetto, la trovo naturalmente stimolante e interessante>>.

E’ il tuo quarto album, d’accordo, ma perché il titolo “4 (Crediti cosmici dance floor)”?

«Già durante la scrittura del mio primo album, “Preparativi per la pioggia”, avevo deciso che il quarto disco si sarebbe intitolato così, anche se, ovviamente, all’epoca non avrei potuto certo immaginare la musica che avrebbe contenuto. Come spesso accade, la via (come la vita) si costruisce in un modo tutt’altro che lineare e il percorso si fa spesso sorprendente. Il numero quattro è in molte culture il simbolo del mondo fenomenico. È il numero che rappresenta la necessità di trovare una propria misura con il mondo, con le esperienze che facciamo quotidianamente e che ci ricorda che esistono più dimensioni, di cui una è indiscutibilmente quella materiale. Siamo esseri semplici e complessi, viviamo chiaramente su più livelli, abbiamo mondi interiori ed esteriori, cambiamo idea, siamo in movimento con qualche piccola certezza».


Negli anni hai sempre collaborato con grandi nomi della musica: “Preparativi per la pioggia” – che hai citato – vedeva la collaborazione di Saturnino, Andy e Franco Battiato, con cui peraltro duetti nella canzone “Qualsiasi spinta”.
“Erbamatta”, il secondo album, contiene la canzone scritta insieme a Pacifico “Memorie selettive”. Ne “La natura del parafulmine”, torna Saturnino e si vede Simon Tong.

Per citare le politiche della memoria, e in modo malinconico – visto che sostieni che non si parli mai d’amore nel disco, ma piuttosto di malinconia – cosa manca al presente?

<<Al presente manca coscienza, siamo persi sempre in qualcosa d’altro. Manca lucidità e consapevolezza: se parliamo di tempo e dei tempi in cui viviamo, ovvio che abitiamo tempi complessi, interessanti ma complessi; ma genericamente, direi che manca sempre quella cosa li: presente e coscienza di sé>>.

Hai detto che il tuo modo di scrivere (e disegnare) è fatto di sapori che si mescolano. Se dovessi dare una forma al tuo album, da architetto in questo caso, quale sarebbe? E un cuoco, invece, cosa che non sei, a quale cibo potrebbe associarlo?

<<Sono innamorato della forma del quadrato, ed è su questa che ho lavorato: sembra rigida, mentre basterebbe spingere un lato per farlo collassare e farlo diventare una linea piana. Il quadrato è da sempre metafora, in tantissime culture del mondo, della nostra vita sulla terra. Non so se la mia musica assomigli ad un quadrato ma, in questo caso, mi è piaciuto trattare questo album come vademecum della nostra vita quotidiana.
In cucina, invece, mi piacciono i “meticciati”: non sono un purista e i piatti più buoni sono proprio quelli che derivano dalle contaminazioni e anche se ormai sono diventati classici, nascono da un miscuglio tra diversi piatti, uniscono ingredienti e sapori contrastanti, finanche nazioni diverse>>.

Che sia bene chiaro, un miscuglio che non ha nulla a che vedere con il “mappazzone” detestato da Barbieri, immagino…

<<No, esatto. Mescolare a casaccio le cose non mi piace, soprattutto quando singolarmente hanno già una propria identità. Le canzoni di questo album non vanno necessariamente nella stessa direzione. Le tracce sono come episodi, che appartengono e raccontano ciascuna mondi e generi musicali diversi>>.

So bene che alla fine ogni brano sia come un figlio, ma tra tutti, ce n’è qualcuno a cui sei più legato?

<<Sarei tentato, è vero, di dirti che hanno tutte lo stesso peso e invece dipende dal momento. Ogni musica – come ogni disco, ogni libro, ogni film – è un nutrimento preciso, chiaro e, a seconda del momento, io ho bisogno di nutrirmi di una cosa, piuttosto che di un’altra. E’ come una cura che ti inietti in quel preciso istante e quindi deve essere specifica per risolvere quel problema. Oscillo, così come per gli autori che ascolto, a seconda del bisogno, tra un sapore e un altro. In questa precisa fase, dovessi scegliere, ti direi “La Rosa Rossa” e “Non Dimenticar”; ma dopodomani potrei aver bisogno di un altro sapore>>.

Non dovrei piegarmi alle corrispondenze, ma non posso fare a meno di sentire delle influenze: da Battiato, sopra tutti, ad Alberto Camerini, quello di “Tanz bambolina” per capirci…

<<Sposo quello che dici. In quel Camerini, c’era sperimentazione dadaista e questo mi piace; giocare con l’elettronica: io sono figlio di quell’epoca e penso che fosse affascinato anche lui dalle stesse cose. Nel titolo de “La Rosa Rossa”, non a caso, ho scritto tra parentesi “Post Punk”, perché è quel suono li. Per Battiato, invece, considera che il primo disco – fatto in buona parte di Blu Vertigo – era comunque pervaso di Battiato, un’ombra costante: la sua visione era così netta e forte, che non potevi non cedere. Ti consigliava di entrare con la batteria a metà, tu andavi a casa ci dormivi sopra due giorni, poi provavi ad inserirla a metà e aveva ragione lui, si apriva il pezzo, cambiava. Cantiamo anche un brano insieme, come già dicevamo, e siamo stati amici molto vicini. Ho scritto un capitolo anche nel libro “L’alba dentro l’imbrunire”, in cui Franco è raccontato attraverso le parole e le fotografie di chi ha lavorato e vissuto al suo fianco.
Per non “subire” questa influenza, il secondo disco – infatti – ho fatto in modo di non farglielo mai sentire. Anzi, lui mi prendeva in giro perché diceva che era il mio disco segreto.
Anche io ho studiato musica classica, ho fatto sperimentazione sonora, ho viaggiato in Medio Oriente e sono affascinato dalle musiche ossessive: tante cose ci hanno accumunato ma, tolto questo, si deve anche capire che dopo Franco c’è stato come uno switch nella musica e chiunque sia venuto dopo di lui, ne ha subito per forza, volente o nolente, influenze>>.