“Prima [dell’ultimo terzo del secolo diciannovesimo] l’uomo poteva soltanto sentire come dal proprio essere si formassero i pensieri; dall’epoca indicata in avanti, egli può elevarsi al di sopra del suo essere; può dirigere il suo senso interiore verso le regioni dello spirito; là gli viene incontro Michele che si mostra congiunto fin dai tempi antichi a tutta la vita del pensiero. Egli libera i pensieri dal dominio della testa; apre loro le vie del cuore; proscioglie dall’anima l’entusiasmo, in modo che l’uomo possa dedicare la propria anima a ciò che può venir sperimentato nella luce del pensiero”
Rudolf Steiner, “Massime antroposofiche”
Proprio nel tempo di Michele (29 settembre), il dibattito innescato dall’omicidio Kirk ha reso visibile una trasformazione che covava da tempo: una parte del mondo conservatore, negli Stati Uniti (ambiente MAGA) e in segmenti del conservatorismo europeo, rilancia un repertorio teologico-politico che riveste l’azione collettiva di linguaggi messianici o di “cristianesimo radicale”. A questa risacralizzazione del politico risponde, sul versante opposto, una sinistra che spesso si richiama alla tradizione francese della laicità, intesa come espulsione della dimensione religiosa dalla sfera pubblica. Ne nasce una dialettica sterile: da un lato, l’uso strumentale del sacro; dall’altro, una laïcité divenuta sospetto sistematico verso l’esperienza spirituale. Il caso Kirk ha semplicemente reso più acuti toni e posture in entrambi i campi.
A questa impasse può parlare, sorprendentemente, Rudolf Steiner. Non perché offra una “terza via” ideologica, ma perché propone un mutamento di metodo: la Scienza dello Spirito a orientamento antroposofico come pratica conoscitiva che emancipa la dimensione spirituale sia dal controllo clericale sia dal riduzionismo scientista. Steiner non chiede di “credere di meno” o “credere di più”; chiede di conoscere meglio, cioè di educare il pensare a diventare esperienza rigorosa del reale anche quando questo reale si presenta come interiore, biografico, sovrasensibile. Tale appello non è mistico in senso evasivo: è fenomenologico. Come la scienza naturale nasce dall’auto-disciplina dell’osservazione, così la scienza dello spirito nasce dall’auto-disciplina dell’attenzione, della moralità, dell’immaginazione conoscitiva, della fantasia esatta.
In questo quadro acquista rilievo la distinzione — che Steiner rielabora — tra cristianesimo paolino e cristianesimo giovanneo. Il primo sottolinea l’evento salvifico “esteriore” e irripetibile (il Mistero del Golgota) che redime l’uomo per grazia; il secondo illumina il Logos come principio conoscitivo interiore, “in principio era il Verbo”, e lavora alla metamorfosi dell’Io fino all’esperienza del “Io sono”. Per Steiner, queste non sono dottrine contrapposte, ma due poli di un’unica corrente che va ricomposta nella coscienza moderna: la fede come incontro reale con un evento storico-cosmico e, insieme, la conoscenza come sviluppo libero dell’Io capace di verità. Il cristianesimo, così inteso, non è un pacchetto di prescrizioni da imporre né un residuo mitico da confinare nel privato; è un principio di evoluzione della coscienza che domanda responsabilità conoscitiva.
Da qui discende la critica simmetrica ai due “blocchi” contemporanei. Alla teopolitica nazionalista Steiner oppone l’autonomia della vita spirituale: ciò che è religioso o spirituale non può farsi Stato senza corrompersi in potere. La vitalità del sacro chiede libertà, non sovranità. Alla laïcité riduzionista, invece, egli oppone la dignità conoscitiva dell’interiorità: esistono fatti dell’anima e dello spirito che non sono meri epifenomeni biochimici; possono essere indagati con metodo, senza cedere né al dogma né all’arbitrio. In breve: nessun monopolio religioso sul senso, nessun monopolio scientista sui criteri di verità.
Il dispositivo istituzionale che più traduce questa intuizione è la triarticolazione dell’organismo sociale: libertà nella vita culturale e spirituale; eguaglianza nella sfera giuridico-politica; fraternità nella cooperazione economica. È una mappa ideale, non un programma di partito. Applicata allo spazio pubblico, suggerisce che i conflitti tra “crociata religiosa” e “messa al bando del sacro” nascono perché cultura/spirito, diritto e economia sono incollati in un unico blocco. Quando lo Stato pretende di decidere cosa sia vero nello spirituale, degenera in laicismo ideologico; quando una Chiesa o un’identità religiosa pretende di dettare legge allo Stato, degenera in teocrazia implicita. Separare i piani non significa neutralismo vuoto: significa dare a ognuno l’autonomia per generare una propria legge interna che si armonizzi dinamicamente con gli altri piani.
Come si intravede, allora, un superamento praticabile delle due posizioni descritte?
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- Distinzione forte tra “spirituale” e “religioso”. Lo spirituale è l’esperienza e la ricerca interiore, religiosa o non religiosa; il religioso è l’insieme storico di istituzioni, dottrine e riti. Lo Stato non deve “benedire” lo spirituale né “sospettarlo”: deve garantirne la libera fioritura nella sfera culturale, a condizione che non pretenda potere coercitivo.
- Autonomia della vita culturale. Scuole, università, media, arti: luoghi liberi per una alfabetizzazione spirituale non confessionale (pratica meditativa, educazione immaginativa, etica della responsabilità), al pari dell’alfabetizzazione scientifica. Non “insegnamento della religione”, ma educazione alla ricerca interiore responsabile, con standard pubblici di qualità e pluralismo.
- Una nuova “ragione pubblica” ampliata. Non solo argomenti calcolativi o giuridici, ma anche moral imagination documentabile: narrazioni, simboli, esperienze trasformative che mostrino effetti verificabili (nelle condotte, nelle comunità, nella cura del vivente). La prova non è more geometrico, ma fenomenologica: coerenza, ripetibilità, frutti pratici e concreti.
- Lingua sobria del politico. Al posto di parole d’ordine salvifiche o di scomuniche laiciste, un’etica del dire: distinzione tra convinzione privata e norma pubblica; tra motivazioni spirituali legittime e pretese di superiorità. La democrazia matura quando consente di portare in foro pubblico anche ragioni “calde”, chiedendo però traduzioni condivisibili nel momento della decisione comune.
- Diritto come garanzia d’eguaglianza, non come “neutralizzazione” del senso. La legge deve proteggere uguali libertà e uguale dignità; non può, però, farsi catechismo civile. Le controversie sul senso (antropologia, fine vita, educazione, identità) si risolvono per via deliberativa e sperimentale, riconoscendo zone di autonomia culturale e libertà di scelta entro cornici non discriminatorie.
- Economia della fraternità. Se la sfera economica resta cinicamente separata da ogni principio di reciprocità, il religioso tornerà come compensazione identitaria e la laïcité come controllo. Cooperazione, mutualismo, responsabilità delle piattaforme e dei capitali verso i territori non sono “moralismi”; sono condizioni sistemiche per disinnescare la fame di assoluti politici.
- Esercizi di libertà. L’antroposofia non restaura la religione né la abolisce: chiede pratiche – di attenzione, di memoria morale, di pensiero vivente – che formino persone capaci di non scaricare sullo Stato o sulla Chiesa il peso del proprio destino. Senza questa ascetica laica del conoscere, ogni architettura istituzionale resta guscio.
Questa postura consente di comprendere anche il punto dolente: l’attrazione per i linguaggi apocalittici non nasce dal nulla. È reazione (mal indirizzata) alla percezione diffusa di un mondo senza un senso condiviso. Il compito non è “spegnere” il desiderio di significato, ma reindirizzarlo in una prassi conoscitiva libera e responsabile. In tal senso, il cristianesimo paolino e quello giovanneo, riletti da Steiner, mostrano due energie necessarie: la forza della grazia che libera dall’idolatria del sé e la forza del Logos che educa il sé alla verità. La politica non può trasformarle in slogan; può però creare condizioni perché maturino biografie capaci di portare queste energie nella vita sociale senza confonderle con il potere.
Non si tratta, dunque, di una “terza via” tra crociata religiosa e laïcité militante, ma di un riallineamento delle dimensioni dell’umano: libertà della ricerca spirituale, eguaglianza giuridica, fraternità economica. È uno sguardo esigente perché chiede più libertà, non meno; più responsabilità, non più controllo. È anche l’unico che possa disinnescare la spirale di sacralizzazione e di scomunica che, a ogni crisi, tenta di appropriarsi della cosa pubblica. In tempi in cui i linguaggi assoluti seducono, la Scienza dello Spirito a orientamento antroposofico ricorda che l’assoluto non si decreta: si cerca, si sperimenta, si rende plausibile nella forma della vita. E solo così diventa, paradossalmente, civile.







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