Marco Ligabue compie 50 anni e si regala “Tra via Emilia e blue jeans”

marco2

<<Rocker emiliano cresciuto a parmigiano>>, Marco Ligabue, sorriso sincero e camperos, per festeggiare i 50 anni compiuti in questo strano 2020, pubblica la sua prima raccolta discografica dal titolo “Tra via Emilia e blue jeans”.
Un album – disponibile nei formati cd e vinile, con incluse sorprese e bonus tracks – che raccoglie le sue canzoni più amate e racconta trent’anni di musica, prima da chitarrista e poi da cantautore.

Per citarti di nuovo, Marco, <<mentre mi passa chitarra e fandango, sono 50 volati in un lampo>>: contando che hai abbracciato la chitarra in fasce ed esordito come solista nel 2013, non è piuttosto che sia questa raccolta ad essere “arrivata lunga” rispetto al cinquantesimo compleanno?

<<Con la musica ho iniziato parecchio prima del 2013, in effetti. C’erano tante chitarre in casa e Luciano mi ha messo in mano la prima che ero piccolissimo. Non sono mai stato un grande fan dei “best of”, ho sempre preferito dare al pubblico qualcosa di nuovo. Probabilmente serviva una molla come quella del mezzo secolo, per far scattare la scintilla e farmi pensare a pubblicare la prima raccolta>>.

Continuo a prendere spunto dai tuoi testi: <<mentre mio fratello balla sul mondo, tutta l’Italia si accorge di un borgo>>, ma per parlare di un posto magico, hai scelto nel videoclip del singolo di lancio che dà il titolo all’album, la montagna.
Come mai? Non è la via Emilia e non indossi i “blue” jeans, quantomeno non blu: sarebbe stato retorico? Dove lo hai girato?

<<Hai colto nel segno. Quando ho scritto questa canzone volevo raccontare i miei sogni, la mia “emilianità”, la mia attitudine rock’n’roll e la prima cosa che ho pensato è stata quella di andare a farmi una passeggiata in via Emilia, o sotto ai portici di Correggio, insomma, nei luoghi che mi appartengono da sempre. Poi, mi sembrava troppo didascalico e banale. Allora ho pensato di andare in un posto isolato, fuori dal tempo e da mondo: ricordavo questi spazi magici della Val di Fassa, dove ero stato tempo fa: da lì, l’idea della baita, dove ho portato le foto più significative dei miei 50 anni. Ogni tanto credo sia importante guardarsi dal di fuori, fermare il tempo e osservare le cose da un posto diverso, con un’aria diversa e dei colori diversi. Panorami inconsueti che ti fanno rivivere e apprezzare di più quello che hai combinato nella tua terra>>.

I testi delle tue canzoni, parola di emiliana, sono schietti e zeppi d’immagini assolutamente realistiche: <<diamo le spalle al sole, solo quando c’è una luna da guardare>>. Per lo stesso motivo, nel 2015 hai vinto il “Lunezia”: per la capacità di saper cantare con un linguaggio diretto temi importanti della vita sociale italiana.
Una frase, però, vince su tutte: <<se c’è qualcosa in questo sangue emiliano è che noi non molliamo>>: cosa ci rende così caparbi? Le nebbie, le aride zolle, il crocevia di anime eccentriche?

<<Domanda complessa. In qualche modo noi abbiamo questa cosa nel dna da quando nasciamo: di crederci, di tener duro anche nelle difficoltà, di non mollare mai. Abbiamo questa bella caratteristica, di fare squadra, che è solo quasi nostra: mi viene in mente il terremoto del 2012, in cui, in un momento così delicato, ci siamo uniti, abbiamo fatto raccolte fondi, chi prestava la fabbrica all’altro. Un momento di grande unione, che può sembrare scontata e banale, ma ho suonato in tutta Italia e ho potuto notare la differenza con altri posti. Da dove arrivi, non saprei. Probabilmente, abbiamo un clima talmente bizzarro – freddo e umido d’inverno; caldo e afoso d’estate – che probabilmente ci ha fatto trovare il bello da altre parti: ci siamo sempre rimboccati le maniche, buttati a testa bassa nel lavoro, ma tirando sempre fuori un sorriso; alleggerendo. Dopo 12 ore di fatica, ci basta condividere un prosecco, o un bicchiere di lambrusco con due amici e torniamo sempre carichi per ricominciare>>.

Tra le tue doti, anche quella di saper coinvolgere il pubblico durante i live: sono 600 i concerti all’attivo e da qualche anno il tuo live è tra i più richiesti nelle piazze italiane. Come si resiste, fuori dal palco, in un momento storico come questo?

<<E’ dura. Il fatto che ne abbia fatti così tanti, ti fa capire quanto io ami suonare. Questo blocco forzato è stato “tostissimo” all’inizio. Non volevo farmene una ragione, ho sperato fino a giugno di poter fare il tour; poi, ho cercato di trasferire tutta la mia creatività, tutta la mia componente artistica, sulla scrittura. Tant’è che da aprile a ottobre ho fatto uscire cinque canzoni, tra rifacimenti e inediti. Ho sistemato questa raccolta – e forse, sì, perché io lo facessi serviva anche un lockdown, oltre al cinquantesimo – poi ho cercato di vivere il contatto con il pubblico, facendo tante dirette sui social, chitarra e voce. Durante i mesi in cui siamo stati chiusi, sapendo di non potere suonare dal vivo, cantavo qualche canzone, mi confrontavo con i fan, chiedevo l’applauso da casa; anche per cercare un momento di leggerezza, ridere e scherzare. Proprio perché noi non moliamo mai, ho cercato di girare il punto di vista e trovare soddisfazione in un altro modo>>.

Ma allora, perché canti, <<vado a caso, sbaglio tutti i pezzi del puzzle>>: quando sarebbe successo? E se sì, ti capita ancora?

<<Ma sì, perché sbagliamo tantissimo. Il mondo intorno ci sta mettendo una patina che ci vuole perfetti, eleganti, precisi, ordinati. Il nostro profilo migliore, in poche parole. In realtà sbagliamo tutti. Io, in primis, sono uno che sbaglia tantissimo, che ha sbagliato tanto nella vita e crede sia anche bello raccontarlo, raccontarsi. Le serate più belle con gli amici, sono quelle buffe, in cui racconti le cose sbagliate. Siamo più simpatici quando siamo goffi, anche nel nostro sbagliare. In questa canzone ho voluto tirar fuori questo aspetto: cerchiamo la semplicità; facciamoci una risata, anziché farne un problema>>.

E’ una raccolta dalla cifra stilistica chiara e lo hai detto tu, delle tue canzoni più amate. Ma a quale brano, nello specifico, sei più attaccato tu?

<<Questa è “tosta”, perché son tutte canzoni nate in un periodo diverso e legate ad un momento preciso. Sono tutti momenti che ho vissuto, che fan parte di polaroid, di pagine di diario della mia vita; adesso, se ti devo dire la più significativa, ti dico “Tra via Emilia e blue jeans”, perché è quella che mi racconta meglio nei miei 50 anni, in questo momento preciso>>.

Il Dna non mente. Nell’album, l’ultima traccia si chiama “Audiolibro”: tra le righe, ci vuoi dire che è il primo capitolo di un libro che arriverà presto?

<<Sì, sempre a proposito di lockdown e di cose inaspettate come la raccolta, nei mesi in cui ero a casa mi sono messo a scrivere. Racconto dopo racconto, è venuto fuori un libro. Non era in programma e, onestamente, neanche pensavo di essere in grado di farlo; non ci avevo mai pensato. Qualche settimana fa l’ho fatto leggere ad una casa editrice, alla quale è piaciuto molto e – di fatto – uscirà a inizio del prossimo anno. Quindi, partiamo nel 2021 con già una grande novità: il mio primo libro>>.

A proposito di novità, hai cominciato un instore tour sui generis: date le misure restrittive del corrente dpcm, sarà online, direttamente da casa, per condividere chiacchiere e musica con i fan che hanno acquistato l’album. Variante intelligente, diminuendo oggi anche gli spazi dove poter acquistare fisicamente un disco: come si svolgerà, come vengono selezionati i fan?

<<Ne ho fatti già un po’ e stanno andando molto bene. Me lo ha suggerito la casa discografica. All’inizio ho chiesto cosa si potesse fare per ovviare al problema, in un’epoca dove non c’era l’area giusta per fare fisicamente la presentazione nelle librerie e nei classici negozi di dischi e mi è stato detto che qualche artista stava già realizzando incontri in streaming. Allora ho cercato d’inventarmelo anch’io. Ho voluto premiare tutti quelli che avessero preordinato il disco fisico – ai quali arriva una email con l’invito all’instore e il link per collegarsi – dividendoli in gruppetti di cinque. Sto una mezzoretta con questi ragazzi, collegati da casa, gli racconto del disco e loro mi fanno domande; mi dicono cosa gli piace, mi raccontano a quali concerti sono venuti a sentirmi e mi fanno qualche richiesta; gli suono in acustico qualche brano del disco. E’ molto piacevole. Ci si racconta di più. Se penso all’ultimo instore, con l’ultimo disco nel 2017, c’era già ansia da selfie: la caccia all’autografo e alla firma e ben poco tempo per raccontarsi e conoscerci di più. Con questa formula riusciamo ad entrare in profondità. Una variante importante. Poi, non da meno, c’è l’aspetto della praticità: poter conoscere l’artista e vedere una presentazione anche se abiti dall’altra parte d’Italia, o banalmente, lontano dal capoluogo di regione>>.