L’intervista. Bobo Craxi: Bettino protagonista della storia, con le sue grandezze e i suoi errori

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Vittorio Craxi, detto Bobo, 55 anni, ex deputato socialista, una moglie due figli, una vita veloce spesa tra Milano, Roma e le sponde della Tunisia, nell’approdo di Hammamet. Una passione politica legata a un fiore, un simbolo, il garofano rosso. E una fede sportiva: il Milan, che lo differenzia da suo papà Bettino, che invece tifava Torino, Toro.

Ho letto che ha visto il film Hammamet: emerge l’umanità di Craxi, manca la politica. E’ d’accordo?

“Sì, alla fine è inevitabilmente un film politico, anche se la scelta è stata quella di non entrare nei dettagli. E’ un film su un uomo politico nella sua parabola finale. Io ho avvertito da subito che molte risposte sarebbero rimaste inevase e che questo sarebbe stato il tallone d’Achille dell’opera. Poi però c’è il consapevole rispetto verso il lavoro dell’artista, un lavoro che non va sindacato”.

La pellicola certamente ha suscitato interesse, è seconda ai botteghini per incassi. Molti si sono complimentati con Pierfrancesco Favino. Non credo sia facile rivedere il proprio padre interpretato da un attore. Lei cosa ne pensa?

“Beh, sono preparato. Mio padre era una persona pubblica, che immaginavo entrasse nella storia del Paese. Non c’è dubbio che quella di Pierfrancesco Savino sia stata un’interpretazione maiuscola. Me lo sono trovato anche davanti, vestito da Craxi… Eh, sì. Ma Bettino l’avevo già visto interpretato in pièce teatrali. Il cinema e il teatro restituiscono una certa umanità che ti consente di osservare le cose con maggiore distacco”.

Tutte le volte che si parla di Bettino Craxi, immancabilmente si torna anche sulla sua scelta di ritirarsi in Tunisia. Trascorsi 20 anni dalla scomparsa di suo padre, cosa pensa oggi di quella decisione?

“Fu quella di Hammamet una scelta politica e personale molto chiara che allo stesso tempo metteva in sicurezza lui e chi viveva con lui. Da un punto di vista tecnico tornò a casa sua, mentre da un punto di vista giuridico si esiliò in uno Stato sovrano che tra l’altro lo difese anche con le armi”.

Come ricorderete ad Hammamet il prossimo 19 di gennaio la figura di suo padre Bettino Craxi?

“Come sempre abbiamo fatto nel corso del tempo, anche se avverto e sento che quest’anno ci sono molte più persone che vogliono essere presenti, partecipare”.

Lei ha detto che quando Craxi era segretario del Psi, presidente del Consiglio, uomo pubblico tra i più noti e influenti al mondo, era un padre assente, completamente assorbito dalla politica e dal suo impegno di statista. Com’era invece nella dimensione di Hammamet?

“Sì, ma l’ho detto come fosse una cosa normale, naturale. Come capita a quelli che hanno i genitori che fanno mestieri o hanno un ruolo assorbente. Ad Hammamet, invece, tutto si è capovolto. Ci siamo accorti di avere vissuto molto velocemente. E improvvisamente è stato mio padre, in quel momento della vita, a essere più bisognoso dell’affetto e dell’aiuto filiale”.

La sera del Raphael, quella del lancio delle monete e degli insulti, lei era a Roma?

“No. Ero a Milano”.

Personalmente ricordo che qualcuno in quei momenti, nella hall affollata dell’albergo capitolino, consigliò a Bettino Craxi di uscire da una via sul retro. Ma lui di rigetto fulminò quel suo interlocutore con lo sguardo: ‘Non me lo chiedete un’altra volta’, parlò con gli occhi. Poi disse: “Io esco dal davanti”, e con passo sicuro si diresse alla porta girevole e uscì solo al cospetto della moltitudine urlante. Che cosa ha pensato rivedendo quelle immagini?

“Al netto di tutto è chiaro cosa ha rappresentato quella sera. Fu il finale, il culmine, di una campagna d’odio squadrista che durava da più di un anno. Io comunque avevo già vissuto scene d’odio a Milano, quando venivano con i cani all’uscita del Consiglio comunale. Ma noi non ci siamo mai preparati per rispondere. Nessuno ha mai reagito. Solo una volta ci siamo organizzati a difesa. Quando Craxi è andato a Palazzo di Giustizia, abbiamo riempito l’aula di compagni. Ma poi Craxi dominò la scena e Di Pietro fece la figura che fece. Non vi fu bisogno”.

Oggi, tra la gente, percepisce un clima, un giudizio diverso sulla figura dell’uomo e del politico Bettino Craxi?

“Oggi, ovviamente, c’è un maggiore distacco e una storicizzazione di quei tempi. C’è una risposta più ragionata a quelle vicende. Certo la disgrazia personale di Craxi coincide con le disgrazie di questo Paese e di tanti italiani. Quando incontro i giovani, mi chiedono: ma è vero che l’Italia è arrivata a essere la quinta potenza mondiale? A loro sembra impossibile da credere”.

Quando la storia sembrava avervi dato ragione i socialisti sono stati cancellati. Nel futuro può immaginare quale giudizio sarà dato su Craxi e quale spazio potrà invece trovare cio’ che rimane della diaspora socialista?

“Per un certo tempo lo spazio politico dei socialisti è stato occupato dagli ex comunisti, mentre i voti, quelli sono andati nel centrodestra, in Forza Italia. Ora gli uni e gli altri sono al capolinea. Quindi si rigenererà uno spazio pronto ad accogliere una nuova forma riformista, poi, come e da chi verrà occupato, questo lo vedremo. Per quanto riguarda Craxi, rimarrà nella storia, come è giusto che sia da protagonista. Certo non era Superman o Batman, quindi egli sarà ricordato con le sue grandezze e i suoi errori”.

Il 26 gennaio si vota in Emilia-Romagna per le regionali, in una terra da sempre legata alla sinistra. Oggi, stando ai sondaggi, si parla di un esito incerto. Come pensa finirà?

“Sto compiendo in questo periodo un viaggio attraverso la regione: Cesena, Bologna, Reggio Emilia. Mi pare che il voto delle regionali, anche aiutato dalla data in cui ci si reca alle urne, un po’ come accade per le elezioni di medio termine negli Stati Uniti, vada via via arricchendosi e caricandosi di un significato e di un giudizio sempre più politico. Da una parte il centrodestra si affida a Salvini, che è dappertutto, mentre il candidato del centrosinistra Bonaccini si è lanciato in una campagna solitaria, lontana dai partiti. All’orizzonte mi pare di vedere il tramonto del sovranismo e il prevalere di quella ricerca di equilibrio di cui il Paese ha bisogno”.

(Ferruccio Del Bue)