La chiesa vive una stagione di umiliazione

Don Giuseppe Dossetti

Alcuni anni fa, in occasione di uno dei tanti terremoti del Centro Italia, portammo qualche aiuto a una comunità di Fabriano. Visitammo l’abbazia benedettina di Montefano e conservo il ricordo della biblioteca del monastero: il terremoto aveva gettato i libri giù dagli scaffali e il padre bibliotecario ci diceva serenamente: “Avevo appena finito di sistemarli … “.

Mi torna in mente questo episodio oggi, quando i nostri programmi sono stati violentemente “buttati giù” dalla pandemia. Non voglio parlare del mondo, ma della Chiesa, che sta vivendo, non solo per la pandemia, una stagione di grande umiliazione, alla quale non è opportuno reagire moltiplicando i piani pastorali, che rischiano di finire come i libri di Montefano. Piuttosto, credo che la Chiesa sia chiamata ad adeguarsi al suo modello, Maria, la madre di Gesù. Ella, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo e aver consentito alla richiesta di Dio, si reca dalla cugina Elisabetta, vecchia, che aspetta un figlio, Giovanni, il futuro battezzatore. L’incontro tra le due madri diventa l’incontro dei figli: il bimbo di Elisabetta sobbalza nel grembo, perché ha ricevuto, tramite il saluto di Maria, la parola di grazia di Colui che ella porta nel suo seno. Maria rende grazie, con quel cantico che è conosciuto come il Magnificat, e dice: “Dio ha guardato alla condizione umiliata della sua serva e l’Onnipotente ha fatto per me grandi cose” (Lc 1,48s.).

Le “grandi cose” sono la riconciliazione tra l’uomo e Dio, il compimento delle promesse fatte ad Abramo, una nuova e definitiva “alleanza”. Maria è consapevole del prezzo che le è stato chiesto, nel momento in cui ha consentito all’annuncio: si tratta di un completo spossessamento di tutti i suoi desideri e dei suoi programmi e l’accettazione di una via che porterà alla croce, quella del Figlio, che sarà però anche la sua.

In questa domenica, la liturgia della Chiesa ci offre un testo della Lettera agli Ebrei, che cita il Salmo 40: “Dopo aver detto; Tu, Dio, non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato”, cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà”. Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre” (Ebr 10,8ss.).

Spesso si dice che i sacrifici che venivano offerti nel Tempio di Gerusalemme non erano sinceri, ma nascondevano l’ipocrisia sotto un’apparenza di pietà. Questo non è esatto. L’ipocrisia è il rischio di ogni religione, anche di quella cristiana; ma spesso troviamo nell’uomo religioso sincerità di intenti e la ricerca di un incontro personale con la divinità. Questo però non basta: il Dio che parla a Maria e a Gesù si richiama a una parola antica, piantata nella carne di Israele. Egli vuole tutto, vuole il “corpo”, cioè la totalità della persona, compresi i suoi programmi, magari sinceri e nobili, magari concepiti per rendere gloria a Lui.

Come mai Egli vuole questo, questa totalità senza residui? Perché chiede uno spossessamento così completo? La risposta è abbastanza semplice: perché questa è l’unica via che porta alla perfetta comunione. Coloro che amano lo sanno bene: due sposi aspirano alla consegna reciproca, a ripetere, in un crescendo continuo, la parola che si sono scambiati nel giorno del loro matrimonio.

Per questo, i profeti, ma anche Gesù, usano la parabola nuziale per descrivere il rapporto tra il Signore e il suo popolo. In questa luce, il tempo che la Chiesa sta vivendo è quello in cui le viene richiesta una rinnovata nuzialità e solo a questa viene promessa la fecondità. Non saranno i programmi che salveranno la Chiesa: o, meglio, essi avranno senso solo se esprimeranno l’obbedienza al divino Sposo, che non farà mancare la consolazione. Mi piace ricordare quel che dice san Giovanni della Croce: “Dio preferisce in te il minimo grado di obbedienza e di sottomissione a tutti quei servizi che tu pensi di rendergli”.

La “condizione umiliata” di Maria non è opera degli uomini, ma di Dio stesso. Maria, accettandola, fa spazio alle “grandi opere” che il Signore vuole compiere in lei e grazie a lei. Così sia per la Chiesa e per ogni uomo, soprattutto per coloro che si chiedono, “che cosa debbo fare?”. Fratello uomo, ascolta la voce che è in te e séguila con umile risolutezza.