“Il pensiero di Aldo Moro ci illumina ancora”

"Senza nulla togliere alla gravità e all’eccezionale peso storico e politico di quei fatti del 1978 – la mattanza della scorta al momento del rapimento, poi i giorni del sequestro e infine il suo assassinio – credo che lasciare la figura di Aldo Moro imbrigliata esclusivamente in quell’insieme di fatti e circostanze che siamo soliti definire ‘Il caso Moro’ significhi paradossalmente, da una certa prospettiva, cedere al gioco di coloro che hanno tentato, con una orrenda barbarie criminale, di cancellare lo statista, il suo pensiero, la sua visione e intelligenza politica. Abbiamo oggi, a 40 anni dal scomparsa di Moro, un bisogno di verità su quei fatti e un bisogno altrettanto forte di rileggere la figura di Aldo Moro persona, statista, politico e autorevole costruttore di dialogo, cioè la sua eredità più autentica".
 
Così il sindaco Luca Vecchi, nel messaggio di saluto pronunciato stamani al convegno ‘Aldo Moro punto irriducibile di contestazione e alternativa’, promosso da Cisl – Pensionati Emilia-Romagna nell’aula magna dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, sede reggiana di viale Allegri. All’incontro sono intervenuti anche gli onorevoli Pierluigi Castagnetti e Giuseppe Fioroni, presidente della seconda Commissione parlamentare l’inchiesta sul rapimento e la morte di Aldo Moro, Anna Maria Furlan segretario generale della Cisl, il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e il direttore dell’Espresso Marco Damilano, autore del recente libro ‘Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia’.
 
"Di Moro – ha aggiunto il sindaco – serve recuperare il modo di essere e fare politica, non di rado venuto a mancare in questi 40 anni: la visione; la consapevolezza dei problemi e delle storture anche gravi nei rapporti di potere, leciti e naturali o illegittimi, e quindi la capacità di contrastarli, risolverli, farli convergere in una sintesi alta; la dialettica e la capacità autocritica, la revisione del proprio pensiero; la tensione ideale; la competenza; la cultura umanistica e politica. Temi che in Moro hanno avuto un maestro e che non di rado hanno lasciato il posto al mero mantenimento o alla riconquista del potere nella sua dimensione più basica, a volte tribale: il potere sempre meno finalizzato al bene comune e all’affermazione dei diritti e delle responsabilità personali e collettive e sempre più dettato da ‘muscolarità’, confronti ‘di forza’ laceranti.
 
"Non che quelle ‘deviazioni’ siano nuove. Vent’anni di fascismo nella storia italiana stanno lì a dirci che, sia pure con diverse modalità e diverse forme politiche e sociali, quelle derive che oggi si riaffacciano alla nostra vita democratica, in Italia e in Europa, si sono già manifestate e hanno potuto avere il sopravvento. Moro invitava fermamente, nel 1960, dopo avere scongiurato la deriva autoritaria del governo Tambroni, a non sottovalutare i rigurgiti del fascismo e dell’autoritarismo. Moro temeva la presenza di una destra profonda, reazionaria, miope se non cieca rispetto al futuro, ripiegata sulla paura dell’altro".
 
Sulla stagione del dialogo tra Dc e Pci, ha proseguito il sindaco, "Moro era uomo di progresso. La sua intelligenza politica lo portò da una parte a escludere la possibilità per la Dc di tendere ‘comodamente’ a destra e dall’altra alla costruzione – lui che era uomo di dialogo e ‘di contatto’ come scrive Damilano – di un’intesa con il Pci che includesse le spinte di innovazione sociale, la domanda di nuovi diritti e le energie fresche della società, dando loro una piena e democratica realizzazione e creando i presupposti di una Alternanza politica di governo.
 
"La via originale di Moro era allargare la base della democrazia, la base popolare dello Stato, attraverso una politica riformatrice e in grado di vedere, accompagnare e governare i processi di cambiamento; di interpretare i bisogni reali per risolverli in una sintesi ‘alta’".
 
Sulla personalità di Moro, "egli diceva, con una lucida intuizione, paradossale solo in apparenza per un uomo di potere e di governo quale era, di voler essere – come recita il titolo di questo incontro – ‘punto irriducibile di contestazione e alternativa’. Queste parole sono una sintesi mirabile del suo pensiero e del suo stile, della sua incessante tensione democratica, appunto critica e autocritica. Colpisce di Aldo Moro la solitudine dell’uomo di verità. Una condizione, anche esistenziale, conseguenza proprio della verità stessa, della folgorante modernità del suo pensiero. Forse è prima di tutto per questo che egli è stato rifiutato, fino all’estrema conseguenza".
 
Il sindaco Vecchi ha concluso con le parole di Moro al settimo Congresso della Democrazia cristiana, nel 1959 a Firenze: "Parole lontane nel tempo per noi, ma opportunità attualissima di riflessione. Disse Moro in quella occasione:
 
‘(…) riaffermiamo l’impegno a dare un contenuto concreto alla libertà, a rendere effettiva, nella partecipazione ai beni dell’economia, della cultura e dello spirito (…), la dignità umana. In una società democratica, come quella che noi abbiamo contribuito a delineare nella Costituzione e che vogliamo costruire nella realtà, vi è un problema fondamentale di valorizzazione generale e compiuta dell’intera società. Cioè generalità nell’esercizio del potere e generalità nei benefici dell’esercizio del potere.