Il Pd vuole la patrimoniale

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Informa un comunicato della federazione del Pd di Reggio Emilia che nei giorni scorsi ha avuto luogo una discussione online tra il vicesegretario nazionale Peppe Provenzano e una delegazione di segretari di circolo della provincia reggiana. Il meeting si è collocato nel processo di condivisione con la base voluto dal neo segretario Enrico Letta: una forma veloce per tastare il polso del partito dopo le dimissioni di Zingaretti e l’avvento della nuova leadership.
Dall’incontro sono emersi i temi di programma che i circoli raccomandano al vertice: non così scontati e molto indicativi.

Si parla anzitutto di redistribuzione della ricchezza, non meglio specificata se non in forma di antico slogan sindacale – “lavorare meno, lavorare tutti” – per arrivare a sconfiggere le diseguaglianze. Lavorare meno, sostengono i circoli del Pd reggiano, non significa decrescita. E comunque, si sintetizza nel comunicato un po’ alla buona, uno strumento per parificare i salari c’è: la tassa sui patrimoni, che ormai è “tema da affrontare”.

Ho cercato inutilmente nel testo del comunicato qualcosa che riguardasse il rapporto tra lavoro e impresa, e soprattutto che rendesse chiara l’idea di tassare i patrimoni per aumentare i salari “di donne e giovani”, ma non ve n’è traccia. Nemmeno un rigo dedicato alla creazione di ricchezza nel ventunesimo secolo, al patto sociale, al crollo del Pil, alla strage di attività e posti di lavoro autonomo, alle piccole società e alle microimprese che sono il tessuto nel quale l’Emilia ha saputo nei decenni costruire il proprio benessere.

La cornice culturale in cui si innestano i capisaldi del Partito democratico di oggi appare più arretrata persino di quella del Pci di quarant’anni fa, nel senso che i comunisti emiliani di allora sembrano assai più avanti dei loro eredi odierni. Il mondo di allora aveva alle spalle un secolo di lotte sociali, la lotta alle dittature, un solido quadro ideologico di derivazione marxista. L’economia correva, il Pil cresceva, il benessere si diffondeva. Cosa siano diventati i democratici di oggi, sedicenti prosecutori del riformismo novecentesco di diversa provenienza, rimane invece un mistero. La redistribuzione per lavorare meno? E dove li mandiamo quelli che vogliono studiare, lavorare, fare impresa, creare ricchezza vera e lavoro non assistito? Scappano all’estero. Lo stanno già facendo da anni perché creare ricchezza in Italia spesso è un problema e non un merito.

La sensazione è che chi vota a sinistra in Emilia, dal dopoguerra una larga maggioranza seppure con qualche crepa recente, lo faccia per storia familiare e per senso di appartenenza piuttosto che per ragioni per così dire contemporanee. Nonostante Covid e paralisi economica le aziende continuano a lavorare e ad assumere. Il mercato del lavoro è sempre dinamico. Imprenditori, lavoratori, innovatori nei campi più floridi dell’economia made in Emilia continuano a correre e non prendono sul serio le sparate sulla settimana di quattro giorni lavorativi, la decrescita infelice, la redistribuzione di patrimoni e redditi. Viene semmai da chiedersi a cosa servano i partiti se si limitano a organizzare il sottopotere anche locale e formare cooptati dai quali attendersi gratitudine.

Un’ultima citazione dal documento dem. Si cita la transizione ecologica (immancabile, di questi tempi) che deve tuttavia avere “una matrice sociale”. Sembra un inciso di poco conto ma non lo è. La prevalenza del “sociale” contiene e giustifica tutto. Nella sostanza, ai democratici reggiani sta bene un bel greenwashing per salvare le apparenze, ma a molte condizioni. Ecologia sì, ma che non disturbi nessuno. Che dire? Un po’ ce lo meritiamo, questo clima padano.