Il colonialismo ideologico e culturale di Marwa Mahmoud (di Amedeo Orlandini)

Marwa Mahmoud centro internazionale Loris Malaguzzi Reggio – CoRE

Riceviamo e pubblichiamo in versione integrale questo intervento del cittadino reggiano Amedeo Orlandini sulla questione del “decolonizzare le cartine mentali e fisiche” nel mondo scolastico. 

 

“Non c’è ideale al quale possiamo sacrificarci perché di tutti noi conosciamo le menzogne, noi che non sappiamo che cosa sia la verità”
(André Malraux, scrittore e politico francese)

L’assessora Marwa Mahmoud, in recenti dichiarazioni, invita a “decolonizzare il sapere”, perché ritiene che nella scuola italiana prevalga lo sguardo colonialista da parte degli insegnanti verso gli alunni, in particolare verso gli alunni figli di immigrati. Da molte parti, e da insegnanti che vivono nel quotidiano tra i banchi, si è già testimoniato come questo giudizio dell’assessora sia a dir poco sommario e non risponda alla realtà dei fatti. Per non cadere nella trappola di una polemica sterile, vorrei prendere sul serio questo invito, per capire di cosa realmente si tratta, al di là, per quanto possibile, di un orizzonte ideologico.

Innanzitutto, occorre precisare che ci sono diverse forme di colonialismo: il colonialismo che potremmo chiamare storico, subìto da popoli interi da parte di nazioni più ricche (in questo caso, molti Paesi occidentali hanno esercitato il colonialismo contro le popolazioni indigene); poi, strettamente legato al primo, il colonialismo economico, sempre esercitato dai Paesi ricchi verso i Paesi più poveri; infine c’è il colonialismo ideologico e culturale, che pretende di uniformare tutto, annullando tradizioni, storia e religioni.

Certamente c’è uno stretto legame tra questi tipi di colonialismo, ma ora vorrei sviluppare una riflessione, seppur limitata, sul “colonialismo ideologico e culturale”, che mi pare aiuti a chiarire l’orizzonte ideologico in cui si inquadra la denuncia dell’assessora.

Questo orizzonte è senza dubbio caratterizzato dal movimento “woke” e dalla corrente della “cancel culture” e della sua guerra contro il passato. Come nei tempi dell’Illuminismo i suoi paladini si consideravano “illuminati”, e il loro compito era di portare luce nelle menti del popolo prevalentemente ignorante, così i militanti “woke” (dall’inglese “awake”, cioè “sveglio”) si considerano persone “risvegliate”, capaci di riconoscere le relazioni di dominio e di discriminazione che permeano l’intera società, rispetto alle quali invece la maggioranza degli individui rimane addormentata.

La “cancel culture” si colloca in questo movimento e ha come fine minare il senso di tradizione culturale, limitando l’influenza delle precedenti generazioni, compresi i genitori, rinnegando modi e abitudini del passato come qualcosa di inferiore. L’assessora è protagonista e sostenitrice del “costruttivismo culturale” che impera negli asili comunali di Reggio.

Certamente, il movimento “woke” e la “cancel culture” sono espressioni della nostra epoca e come tali devono essere prese in considerazione e ascoltate, ma è su questo che si presenta una difficoltà che appare insuperabile: perché queste stesse posizioni si presentano con la pretesa di essere le uniche che possiedono la verità, chiudendosi a ogni dibattito e considerando chi non condivide la loro posizione come “discriminatore e persecutore”.

Questa corrente di pensiero, oggi sostenuta anche da grandi risorse economiche (basti ricordare che grandi multinazionali come Amazon, Apple, Google, Meta e Microsoft hanno associato i loro marchi al wokismo), presenta grandi contraddizioni interne.

Ne voglio segnalare tre. La prima è la pretesa di possedere la verità definitiva, da parte di persone che negano che esista una verità; la seconda è rappresentata dalle sfumature di autoritarismo e puritanismo, che celano una pretesa di imporre il proprio potere. La terza, e forse anche la più evidente nella posizione dell’assessora Marwa Mahmoud, è che mentre da un lato si denuncia il non rispetto delle identità culturali degli studenti stranieri, dall’altro si nega il valore di qualsiasi appartenenza culturale, soprattutto dell’appartenenza e del rispetto alla cultura e alla tradizione locale.

Amedeo Orlandini



Ci sono 4 commenti

Partecipa anche tu
  1. Franco

    Mi chiedo cosa ci possa insegnare ? E poi potrebbe avere effetto sul nostro stile di vita ?
    È vero che il detto “nemo proheta in patria” è più indicato, se non vale per le esperienze personali forse ancor meno per un assessore che le affronta per la prima volta ed in un contesto nuovo.

  2. Gabriele

    De colonizzare, nelle civiltà attuali, vuol dire “togliere” qualcosa. Togliere per poi mettere qualcos’altro. Per esempio quello che accade nelle periferie di Parigi, Bruxelles…… dove nemmeno la polizia può entrare e dove la legge islamica predomina e comanda. E nessuno dice niente. Togliere il presepe di Natale, il Crocifisso, non parlare della Pasqua.
    De colonizzare sembra solo una parola ma dentro “nasconde” altro.

  3. Nadia Vorickova

    La nipote di Sandokan regala migliaia di voti ai fascisti ogni volta che apre bocca.
    Chissà se è a libro paga o se è talmente scaltra da farlo gratis: mistero!

  4. Carla

    Forte e chiara analisi della situazione, almeno di Reggio. Sono certa che ha interpretato a fondo anche lo stato d’animo della gran parte dei cittadini da tempo vessati da personaggi arrivati al potere senza merito.


Invia un nuovo commento