Gli stadi restino chiusi

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La fine dell’estate è stata veloce. Pochi giorni di settembre e si sono riaccesi di colpo gli alert riguardanti la circolazione del virus. Siamo messi come Paese meglio di altri, ma non c’è di che vantarsene. La recrudescenza della pandemia è certificata dai numeri: sono cresciuti i casi asintomatici, il numero dei decessi rimane ridotto ai minimi, eppure sembra che la seconda ondata sia alle porte. La riapertura delle scuole e delle attività lavorative “in presenza” ne sono stati verosimilmente i fattori scatenanti.

Il presidente Mattarella ha risposto con stile british alle sciocchezze pronunciate dal premier inglese Boris Johnson a proposito dell’attitudine dei popoli alla libertà. Se vi è un tratto sociologico generalmente accettato è quello che descrive l’italiano medio sin troppo amante della libertà, anche in chiave antisociale (scarsa abitudine a rispettare le regole, individualismo spesso sfrenato, senso civico modesto). Curioso che sia toccato proprio a un presidente italiano mettere a sedere in materia il sovreccitato inquilino del numero 10 di Downing Street.

La faccenda si fa tuttavia più seria, e davvero Mattarella ha detto bene, nell’osservare il pressing delle società di calcio per una veloce riapertura degli stadi. Sono comprensibili tutte le ragioni del caso: il calcio non è solo uno sport ma un grande sistema che coinvolge la politica, l’economia, la tv, lo spettacolo dal vivo non solo in Italia ma a livello internazionale e trasversale. Togliere i circenses al popolo significa innervosirlo, deprimerlo, farlo sentire sotto scacco: ciò va tenuto in considerazione nella gestione di un caso eccezionale quale la pandemia da Covid.

Il problema è che, purtroppo, riaprire gli stadi significa oggi sconfessare le misure di sicurezza alle quali ciascuno di noi è tenuto per evitare di infettarsi e di infettare il prossimo. Si legge qualche opinione critica tra i membri del governo. La forza lobbistica dell’industria del pallone è d’altronde risaputa. Si parla di riportare negli stadi il 25% della capienza. Solo a Milano, glorioso impianto di San Siro, significherebbe consentire l’ingresso a 20mila persone. È chiaro che controllare mille persone in uno stadio da 80mila sia tutto sommato possibile. Ma 20mila?
L’errore che rischiamo di commettere sarebbe probabilmente fatale. Ricordiamo i mesi del lockdown, i morti trasportati dall’esercito, le terapie intensive stracolme, la strage nelle residenze per anziani. Si tratta di essere consapevoli che la pandemia ha modificato nel profondo le nostre abitudini e che esse resteranno tali per chissà quanto tempo.

Ci troviamo in questa fase in condizioni migliori del febbraio scorso. Conosciamo le regole minime, alle quali non dobbiamo venir meno: distanziamento sociale, uso corretto delle mascherine, frequente lavaggio delle mani. Il lockdown ha inciso pesantemente sulle nostre vite. Evitiamo che continui a farlo comportandoci con responsabilità.