Draghi, garanzia internazionale

Sergio Mattarella e Mario Draghi al Quirinale

Cinquestelle e Pd piangono sul latte versato, ma se Renzi è riuscito a far saltare il banco la colpa è soprattutto loro. Se nelle scorse settimane avesse prevalso l’intelligenza politica, anziché una serie di continui arroccamenti senza prospettiva, il senatore di Rignano si sarebbe trovato con le armi spuntate e certamente sarebbe stato possibile conservare l’alleanza di governo, se non la fotocopia del Conte-bis.

Renzi ha messo nel sacco il gruppo dirigente grillino, la cui inesperienza si è sommata alla spavalderia di chi si crede invincibile. Sarebbe stato necessario vedere le carte del senatore spaccatutto, gli si sarebbero dovuti opporre uno o più leader capaci di giocare con la materia sottile di cui è fatta la politica. Ma i Cinquestelle, sebbene abbiano in questi anni governato, sono rimasti fermi alle parole d’ordine gridate nelle piazze e anzi sono tornati al vaffa.

No al Mes, no al sacrificio dei vari Conte, Bonafede, Fraccaro, no a tutto quanto pretendesse Renzi nel corso di una trattativa che di fatto non è mai decollata. I grillini tornano con le pive nel sacco senza che all’orizzonte ci sia uno sbocco diverso dal passaggio elettorale e da una clamorosa débâcle annunciata da tutti i sondaggi.

Non di meglio ha fatto il Pd, mai protagonista di alcunché da almeno un anno e mezzo, schiacciato da un vuoto di leadership a tratti imbarazzante e sovrastato da ogni iniziativa. A cosa serva il Pd se non a mantenere fisse alcune poltrone ministeriali non è dato sapere. Renzi, in solitudine, ha giocato la partita del Davide contro i Golia ed è tornato politicamente vincitore. Chi lo ha reso possibile? E soprattutto: per quale misteriosa ragione il Pd si è legato mani e piedi al signor nessuno Giuseppe Conte?

A differenza dei Cinquestelle, destinati a tornare quelli dell’impeachment a Mattarella (a meno che Di Maio non si opponga al giacobinismo montante e scelga un’altra strada), il Pd è riuscito a svegliarsi dal lungo torpore e sembra essersi allineato alle indicazioni del Capo dello Stato.

Chi invoca le elezioni subito non vuole o non sa capire in quali condizioni si trovi realmente il nostro paese. Tra scioglimento delle Camere e insediamento pratico di un nuovo governo passerebbero non meno di quattro mesi. Significherebbe rischiare di perdere il Recovery Fund, restare per aria sui piani vaccinali, essere privi di una politica economica. Una follia, certamente. Chi propugna le elezioni mette in pericolo le sorti del paese, che piaccia o meno.

Se il governo Draghi otterrà la fiducia delle Camere avremo la certezza di un esecutivo credibile, solido, immediatamente apprezzato sul piano internazionale. Le reazioni immediate dei mercati lo hanno certificato sin da stamattina. La fiducia a Draghi è il passo migliore che l’attuale Parlamento possa compiere nell’intero arco del suo mandato. Chi mira oggi a sabotarlo non sa quel che fa. Oppure, se lo sa, è davvero irresponsabile.