Differenza etica tra comunicazione e giornalismo

giornale opinion – P

C’è una confusione, oggi, che non è solo lessicale ma profondamente politica: quella tra comunicazione e giornalismo. La prima – la comunicazione – è per sua natura orientata, finalizzata a raggiungere un obiettivo preciso, a convincere, a spostare consenso. Non cerca la verità, cerca l’effetto. La seconda – il giornalismo – è invece il luogo della verifica, della critica, della pluralità. È lo spazio dove le notizie non sono materia da piegare a un tornaconto, ma strumenti per formare una coscienza civile.

In un tempo in cui la comunicazione pubblica si traveste da informazione, il rischio è che i cittadini vengano nutriti non di fatti ma di versioni. Ancor più grave è quando enti pubblici – cioè istituzioni che dovrebbero garantire trasparenza, equidistanza e servizio alla collettività – usano i media per diffondere propaganda a proprio vantaggio. Qui non si tratta più di strategie di marketing, ma di una torsione del patto democratico: chi ha il potere e le risorse si assicura anche la narrazione dei fatti, riducendo il cittadino a spettatore passivo di una messinscena.

È per questo che la democrazia ha bisogno, oggi più che mai, di un sistema editoriale autonomo, indipendente e plurale. Non basta che esistano giornali, televisioni e piattaforme: occorre che vi sia una vera distanza tra chi governa e chi racconta il governo. Solo così l’informazione potrà mantenere la sua funzione essenziale: aiutare le persone a farsi un’opinione fondata, critica, libera. La differenza etica tra comunicazione e giornalismo è netta e irriducibile. Dove l’una costruisce consenso, l’altro dovrebbe costruire coscienza. Dove l’una serve chi parla, l’altro serve chi ascolta. E dimenticarlo significa accettare una democrazia di facciata, dove i fatti contano meno dei comunicati.




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