Papa Giovanni Paolo II è in piazza San Pietro per il tradizionale giro tra i fedeli prima dell’udienza generale. All’improvviso si accascia sulla papamobile. Sono le 17.17 del 13 maggio 1981 e quelle immagini fanno in un lampo il giro del mondo. Qualcuno tra la folla ha sparato al Papa, fugge, lo blocca una suora, indietreggia e cade a terra inciampando in un sampietrino. Il Pontefice appare gravissimo: viene trasportato in ospedale in fin di vita. L’uomo che ha sparato è Ali Agca. Perché ha tentato di uccidere il Papa? Chi sono i mandanti? Domande che a quarant’anni dall’attentato a Karol Wojtyla restano senza risposta. Il Pontefice tra grandi sofferenze sopravvive: porterà, esattamente un anno dopo, il proiettile che lo aveva colpito alla Madonna di Fatima, che era apparsa a tre pastorelli il 13 maggio del 1917. Secondo lo stesso Wojtyla, era stata la Vergine a salvarlo: “Una mano ha sparato, un’altra mano ha deviato la pallottola”, disse.
I medici del Policlinico Gemelli non credevano che Wojtyla sarebbe sopravvissuto. “I medici che eseguirono l’intervento, in primis il professor Francesco Crucitti, mi confessarono – ha di recente raccontato il cardinale Stanislaw Dziwisz, lo storico segretario di Wojtyla – di averlo preso in carico senza credere nella sopravvivenza del paziente”. Il medico personale del Papa, il dottor Renato Buzzonetti chiese a Dziwisz di impartire al Papa l’unzione degli infermi. L’operazione durò quasi cinque ore e mezza.
Il 27 dicembre 1983 Papa Wojtyla, nel carcere romano di Rebibbia, fece visita ad Agca e lo perdonò. “Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui” disse il Pontefice.
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