Largo ai vecchi

anziana compiti giovane – P

C’è un’Italia che continua ostinatamente a raccontarsi giovane, dinamica, in corsa verso il futuro. Ma quando poi si guardano i numeri – quelli dell’Istat, non quelli della retorica – scopriamo un Paese che non solo è già cambiato, ma che continua a scivolare verso una composizione demografica mai vista nella sua storia. E non è una tragedia. È semplicemente la realtà. Una realtà che richiede, più che proclami, lucidità e coraggio.

L’Italia è oggi uno dei Paesi più longevi al mondo. Più di un quarto degli italiani ha più di 65 anni e nel giro di pochi anni diventeranno un terzo della popolazione. Questa massa crescente non è fatta solo di malati cronici o persone bisognose di assistenza, come una certa narrazione pietistica insiste a far credere. No: una quota sempre più ampia degli over 65 è in buona salute, autonoma, attiva, spesso con una vita culturale e sociale più intensa di molti quarantenni esausti. Gente che ha accumulato competenze, reti, memoria, professionalità. Un capitale sociale enorme che il Paese, distratto com’è dalla ricerca spasmodica dell’“innovazione”, continua a ignorare.

Il problema non sono gli anziani: sono i bambini che non nascono. Ogni anno perdiamo residenti come se evaporasse una città di medie dimensioni. La natalità è ai minimi storici, e tra i pochi nuovi italiani sempre più sono figli di immigrati, mentre la base autoctona si assottiglia. La forbice tra giovani e anziani si apre, e non accenna a richiudersi. È un processo profondo, strutturale, non un raffreddore che passa con un bonus una tantum.

Continuare a ripetere che “bisogna investire sui giovani” – sacrosanto in teoria – senza prendere atto del nuovo paesaggio demografico è un esercizio di illusione collettiva. I giovani sono pochi, saranno ancora meno, e avranno bisogno di una società progettata per convivere armonicamente con un numero crescente di persone longeve. Insistere con la retorica giovanilista serve solo a nascondere l’elefante nella stanza: l’Italia del futuro sarà un’Italia anziana. E allora tanto vale prepararsi.

Serve ridisegnare il welfare, ripensare le città, reinventare il lavoro, adattare i servizi, immaginare nuovi equilibri tra generazioni. Non per rassegnarsi, ma per trasformare la longevità in una risorsa invece che in un costo. Invertire la rotta rispetto al passato – quando la piramide demografica aveva ancora una base larga e un vertice stretto – è inevitabile. È un cambio di paradigma, non un aggiustamento: e richiede di ricomprendere nella vita pubblica tutti quelli che, numerosi e in salute, non hanno nessuna intenzione di essere messi da parte.

E poi, diciamolo: i boomer potranno anche aver superato i 65, ma non ditelo troppo forte… perché loro, a invecchiare, non ci pensano proprio.




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