Decolonizzare lo sguardo nella scuola di oggi (di Barbara Bertani)

scuola classe multietnica compiti – P

Riceviamo e pubblichiamo in versione integrale questo intervento della maestra Barbara Bertani sul dibattito in corso sulla questione della “decolonizzazione dello sguardo” nel mondo della scuola.
 

Mi rivolgo al prof. Mainini e a quanti, come lui, si sono sentiti offesi dalle parole usate dall’assessora Marwa Mahmoud in occasione della presentazione del dossier sull’immigrazione, pochi giorni fa a Bologna.

Vorrei, al contrario, testimoniare un diverso approccio alle questioni che riguardano la postura decoloniale nelle classi e mi convinco, ogni giorno di più, della necessità di formazioni serie, condivise su questioni che riguardano l’immigrazione, il razzismo e la prevenzione alla violenza di genere.

Proviamo a presentarci e a posizionarci. Sono laureata in lingue, insegno (anche) inglese, ma alle scuole elementari, sono bianca e nata a Reggio Emilia. Ho scelto di lavorare nel primo ciclo di istruzione perché condivido un approccio sistemico e transdisciplinare con le colleghe e credo che ci sia tanto bisogno di studio, ricerca e sperimentazione su questo paradigma di scuola per destrutturare stereotipi e stigmi culturali.

Faccio parte della Rete di Educazione Ecologica che tiene insieme docenti di ogni ordine e grado di scuola, educatori, accademici, genitori. Vorremmo riaprire una discussione veramente autentica e critica su ciò che è diventata la scuola oggi e provare a trasformarla in un luogo aperto in cui le parole ritornano a conferire valore al loro significato originario, in cui includere non diventi sinonimo di omologazione e dove il multilinguismo sia davvero un’occasione unica per ampliare il nostro spazio di pensiero.

La lingua è madre, sempre. È l’origine, è la lingua con cui entriamo nel mondo. Chiudendo gli occhi, bambine e bambini di prima elementare hanno provato a ricordare canzoni lontane, cantate dalle mamme, quelle che fanno addormentare, quelle che creano memoria. Senza mai sovrapporsi con le voci abbiamo ascoltato commosse meravigliose melodie arabe, dialetti pugliesi, campani, reggiani. Chi siamo noi per dire che il plurilinguismo debba fermarsi all’inglese e al francese? Questa aberrazione del mondo a senso unico la trovo solo nella premessa che Valditara ha scritto nelle nuove indicazioni nazionali, tutto ordine, disciplina e Occidente! Allora, se partiamo da qui, da un NOI che si intesta il primato della civiltà, capisco come si possa sentire offeso un professore, che non ho dubbi sia apprezzato per preparazione e accoglienza, ascoltando la dichiarazione di una assessora donna, non identificabile con lo stereotipo dell’Occidente.

Ma persino lavorare su macro temi come stiamo facendo alla scuola primaria, transitando da un ambito disciplinare a un altro per capire la complessità del mondo, non ci mette al riparo da un lavoro quotidiano da fare su noi stesse. Posso leggere valanghe di libri, provare a mettermi nei panni dell’unica “donna nera nella stanza”, ma io non saprò mai cosa veramente possa significare.

Di questo parla il magnifico racconto di esperienze scolastiche “Tra i bianchi di scuola” di Espèrance Hakuzwimana che, credo, dovrebbe essere letto da docenti, genitori, ragazze e ragazzi e amministratori di politiche scolastiche. Dovremmo partire da chi lo sguardo coloniale lo ha su di sé fin da bambina. Senza nasconderci dietro un dito, un libro, una bella citazione o un risentimento verso chi, come Mahmoud, chiama le cose con il loro nome: tutti bravi a chiamarci fuori da stereotipi razzisti, ma non cambiamo nulla del mondo così com’è.

Barbara Bertani
maestra



Ci sono 2 commenti

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  1. Gonzaga

    Alle elementari e alle medie si insegna l’Italiano e la matematica…… la conoscenza del linguaggio è la base per lo sviluppo dell’intelligenza. Solo una approfondita conoscenza del linguaggio poi permette la costruzione di una personalità e ovviamente anche lo spirito critico. Tutto il resto deve stare molto lontano dalla scuola primaria e media.

  2. G. Ongolo

    Aiutatemi a decifrare.
    Quindi, al di là della cortina di concetti fumosi e parole d’ordine, che forse meriterebbero più cura nell’analisi e più cautela nello slancio, questa maestra ha “scelto di lavorare nel primo ciclo di istruzione… per destrutturare” l’occidente coloniale ingiusto e razzista, e da lì “cambiare il mondo” per lenire in qualche modo dei sensi di colpa autoindotti.
    È questo la scuola primaria? Un obiettivo facile e molle su cui riversare frustrazioni rivoluzionarie?
    Giusto per capire.


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