Alta tensione tra Mosca e Kiev

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Alla fine il teatrino è sempre lo stesso: chi dice di essere stato aggredito (Ucraina), chi dice di essere stato provocato (Russia). L’elemento di novità è che il tutto sia accaduto in mare, in quello stretto di Kerch, imbocco del mare d’Azov, dove proprio quest’anno è stato ultimato il ponte voluto da Mosca e che collega la Federazione russa alla Crimea.

La cosa che però possiamo dare per scontata è che le tre unità della marina ucraina partite da Odessa e dirette a Mariupol, abbordate, e ora nelle mani dei russi (Berdyansk, Nikopol e il rimorchiatore Yani Kapu), non abbiano deciso autonomamente di procedere lungo lo stretto di Kerch senza aspettare il via libera dei russi, che di fatto controllano il passaggio. Ben sapevano infatti delle probabili conseguenze di un attraversamento non autorizzato. L’ordine deve quindi essere venuto dall’alto. Ma da chi?

È perlomeno sospetta la prontezza con la quale il presidente ucraino Poroshenko si è mosso per chiedere alla Rada, il parlamento di Kiev, l’applicazione della legge marziale, richiesta mai avvenuta neppure nei periodi più bui della guerra nel Donbass. Mentre il consiglio supremo di difesa di Kiev si adoperava per decretare lo stato di guerra, Poroshenko teneva a specificare come la legge marziale non implicasse automaticamente la dichiarazione di guerra. Segno che più che la seconda, al presidente interessasse la prima.

Tra le tante conseguenze dell’applicazione della legge marziale la più rilevante per Poroshenko sarebbe senza dubbio la sospensione delle elezioni presidenziali. I due mesi di legge marziale per ora richiesti potrebbero infatti essere sufficienti ad inficiare il processo elettorale che avrebbe dovuto portare al voto di fine marzo. I sondaggi per Poroshenko sono estremamente negativi, dandolo addirittura al terzo posto. La situazione nel paese, con l’ingresso dell’inverno, si fa ancora una volta estremamente complicata: in diverse città non funzionano i riscaldamenti e persino in varie aree di Kiev non vi è acqua calda.

Nel caso in cui l’azione ucraina nello stretto di Kerch fosse stata dettata da motivazioni puramente interne allora è facile immaginare che quella che ieri appariva come una tragedia internazionale da domani potrebbe apparire come una farsa. Se invece su Kiev si fossero concentrate (nuovamente) pressioni esterne e l’azione delle imbarcazioni ucraine fosse stata anche frutto di una garanzia internazionale, allora la questione potrebbe complicarsi.

A dicembre le Nazioni Unite dovrebbero considerare delle sanzioni proposte dall’Ucraina per la situazione nel mare d’Azov. Mettere pressione su Mosca inducendo una reazione, come di fatto avvenuto, potrebbe portare notevole acqua, mediatica e non solo, al mulino globale anti-Cremlino. Altro bersaglio potrebbe poi essere il meeting Putin-Trump in programma per il G20 di fine novembre a Buenos Aires. Sono già numerose le voci che in ambienti influenti si sono alzate affinché il presidente americano boicotti l’incontro.

Se un paese come il Canada si è prontamente schierato dalla parte dell’Ucraina e se un think thank come l’Atlantic Council invoca addirittura un intervento navale di NATO e Stati Uniti, su questa vicenda Trump non si è ancora espresso, dedicandosi a tweet di tutt’altra natura. O forse no.


Insomma, per ora, almeno la Casa Bianca non pare intenzionata a morire per Mariupol.




Ci sono 2 commenti

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  1. Francesco Rossi

    Oppure basterebbe ricordare a Stoltenberg il detto militare secondo il quale esisterebbero tre gradi di stupidità: normalmente stupido, molto stupido e attaccare la Russia 😉

  2. paolo

    Credo che il suo ragionamento abbia una certa logica, ma se è come dice lei non sarebbe meglio informare Stoltenberg e compagnia bella, che sembra facciano molta più fatica ad accompagnare le argomentazioni con la logicità?


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