In morte della festa dell’Unità

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Di questi tempi il Campovolo era già un grande cantiere: caldo da matti, decine di volontari al lavoro, ogni anno qualche piccolo miglioramento logistico. L’appuntamento era per il primo weekend dopo Ferragosto e per almeno la metà dei reggiani dell’intera provincia quella data corrispondeva un po’ all’inizio dell’anno nuovo: terminavano le vacanze estive e si riprendeva la consuetudine della vita.

L’edizione nazionale del 1983 rimase negli annali per diverse ragioni. L’ultima, con Enrico Berlinguer vivo e segretario. La marea umana che gli si stese ai piedi durante il comizio finale. Le indimenticabili fotografie di un altro grande scomparso troppo presto, Luigi Ghirri.

Da allora la festa di Reggio fu sempre “nazionale”, anche senza esserlo formalmente, essenzialmente per i grandi concerti che ospitò (Vasco, U2, Ligabue, il festival Italia loves Emilia, e mille altri). Ma fu comunque – anche quando i Ds, in una pretesa di neanche troppo malcelata volontà egemonica, vollero ribattezzarla “Festareggio” – un vero brand della reggianità popolare: per il clima da fiera, per la politica ancora salvaguardata sul piano del confronto, per i ristoranti ma anche per le librerie.

Oggi, con il cantiere della grande Arena in costruzione e soprattutto uno scoperto di due milioni di euro in banca, la Festa dell’Unità è clinicamente morta.

Non c’è il Partito. Non c’è il pubblico. Non ci sono idee nuove. Per chi volesse un’edizione ridotta ma dignitosa, bisogna arrivare sulle sponde del Secchia, a Villalunga. Ma non sarà la stessa cosa.



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