Ecco da cosa dipende lo spread

Euro spread

(Senza riforma della Bce qualsiasi sforzo è vano)

Due considerazioni semplicissime le cui conseguenze hanno una importanza fondamentale nell’economia degli stati UE, e in questo caso dell’Italia e della Germania.

Livello microeconomico: un investitore che compra Bund decennali tedeschi (sono l’equivalente del Btp) ogni hanno perde circa 1,5 % del suo capitale. Infatti ha un rendimento dello 0,5%, ma l’inflazione in Germania è al 2% e quindi ha un rendimento reale negativo. Al contrario un investitore che compra oggi un Btp a dieci anni guadagna circa l’1,4% annuo. Infatti il Btp paga il 2,972% di interesse, ma l’inflazione in Italia è dell’1,6%. In questo caso il rendimento reale è positivo.

Livello macroeconomico: a livello di Stati, ovviamente il ragionamento si inverte. Lo Stato tedesco vede il suo debito ridursi ogni anno per effetto del differenziale negativo tra tassi di interesse e inflazione, mentre quello italiano al contrario – dovendo pagare un interesse reale positivo – vede il suo debito crescere inesorabilmente.

 


Ho evidenziato questi due semplici grafici (rielaborati dal sito Investing.com) perché servono a spiegare la proposta del governo italiano all’UE (proposta elaborata dal ministro Savona). In sintesi estrema: se non facciamo convergere i tassi di interesse, nessuna politica di sacrifici potrà mai realizzare una vera convergenza. Anzi, l’austerità farà ridurre il Pil e il rapporto debito/Pil crescerà e in mancanza di interventi farà aumentare ancora di più il tasso di interesse reale, e quindi il costo complessivo del debito.

La domanda fondamentale è: chi determina i tassi di interesse nominali?

Sui media mainstream ci raccontano che sono i mercati, una sorta di mano invisibile assolutamente al di sopra di tutto e tutti che agisce secondo principi di natura. In questo modo, appellandosi ad una entità superiore e indistinta, politici ed economisti (sia Italiani che UE) se ne lavano le mani e possono così colpevolizzare l’italiano medio raccontandogli che il debito è colpa sua, e che se il debito cresce deve fare sacrifici per pagarlo etc etc. Non è vero.

Sono le banche centrali a determinare il tasso nominale di interesse, il livello di inflazione e quindi il costo del debito per uno Stato. Per questo la proposta del Prof. Savona di cambiare lo Statuto e la Mission della BCE è così importante.

Analizzando tassi e debito pubblico vi dimostro il perché.

1) non c’è alcuna correlazione tra l’aumento dei tassi di interesse e l’aumento del debito/Pil;

2) c’è una correlazione diretta tra le azioni delle banche centrali (Fed, Bce, Boe e Boj) e la variazione dei tassi di interesse sul debito dei rispettivi Stati. In particolare c’è una relazione diretta tra operazioni cosiddette di quantitative easing e le variazioni dei tassi. Vi è anche una importante influenza sui tassi a seconda che le banche centrali diano garanzie sul debito (il famoso “Whatever it takes”) o ignorino qualsiasi intervento.

Cominciamo analizzando il debito italiano e confrontandolo con il livello dei tassi di interesse sui Btp decennali e con il famoso spread (tutti i grafici si riferiscono allo stesso periodo e sono confrontabili visivamente)

Il debito/Pil italiano diminuisce fino al 2007, poi si impenna nel 2009 (governo Berlusconi e crisi subprime) ed esplode nel 2012/2013 (governo Monti e austerità), per poi stabilizzarsi nel 2014-2015-2016-2017 . I tassi di interesse scendono fino ad agosto 2010, poi cominciano a salire e raggiungono il top (7%) nel novembre del 2011, in un periodo in cui il debito/Pil cresceva ma in modo contenuto.

Poi si riducono fortemente proprio mentre il debito/Pil esplode e raggiunge il suo massimo storico del 132%. Quindi con il debito/Pil al 120% i tassi erano del 7%, con il debito/Pil al 132% i tassi hanno raggiunto nel 2016 il minimo storico del 1,2%. Incredibile: i tassi di interesse erano all’1,2% con un debito al 132% e quando, prima della crisi, il debito italiano era del 104% i tassi erano del 3% o più. È evidente, non c’è alcuna correlazione tra tassi e livello del debito.

Figura 1 Debito/Pil in Italia dal 2000 ad oggi.

 

Figura 2 tasso di interesse nominale dal 2000 ad oggi in Italia. Alla fine del 2016 il tasso è 1,2% con un debito superiore al 30% del debito/Pil del 2007

Figura 3 Spread BTP /BUND dal 2000 ad oggi

Ed ora analizziamo cosa è successo in altri 3 paesi occidentali importantissimi.

Stati Uniti: dal 2006 al 2012 il debito/PIL passa dal 61 al 100% ma nello stesso periodo i tassi di interesse scendono dal 5% all’1,5%

Figura 4: Debito/Pil Usa dal 2006 al 2012.

Figura 5: tassi di interessi nominali sui T Bond decennali. La freccia rossa fa riferimento al calo dal 2006 al 2012.

Qualcuno potrebbe obiettare che gli USA hanno il Dollaro che è la moneta del “mondo” e quindi a loro si applicano regole diverse. E allora andiamo ad analizzare i tassi di interesse Inglesi e Giapponesi.

Vediamo l’Inghilterra. Dal 2007 al 2016 il debito pubblico inglese passa dal 35% all’82% una crescita mostruosa. Ebbene il tasso di interesse nello stesso periodo passa dal 5.5% allo 0,5%.

Figura 6 – Debito inglese: dal 2008 al 2015 è più che raddoppiato.

 

Figura 7 – Il tasso di interesse sui Bond decennali quasi si azzera nel periodo in cui il debito raddoppia.

 

Il Giappone: se ancora serviva una prova che sono le Banche Centrali a definire i tassi di interesse e non i mercati basta osservare il Giappone con un debito in continua crescita a livelli doppi della Grecia, i tassi di interesse sono arrivati sotto zero.

Figura 8 – Debito/Pil del Giappone dal 2007 al 2017.

 

Figura 9 – Tassi di interesse del Giappone dal 2007 al 2017: mentre il debito esplode, i tassi vanno sotto zero.

Non c’è correlazione tra livello dei tassi e debito pubblico.

C’è invece correlazione diretta con le operazioni delle banche centrali dei singoli paesi.

Il problema dell’Italia che fa avanzo primario da oltre 20 anni è soprattutto il costo del debito. (tasso di interesse nominale più alto dell’inflazione fa aumentare il debito, mentre un tasso di interesse basso e inferiore all’inflazione lo riduce). Con una Banca Centrale Europea che non tiene conto degli interessi dei singoli stati e non garantisce nemmeno il debito dei singoli stati, è del tutto impossibile uscire dalla spirale del debito pubblico italiano, inoltre il differenziale dei tassi con paesi con la stessa moneta rende anche meno competitive le nostre imprese. Per questo la proposta Savona è fondamentale, altrimenti se agiamo solo sull’avanzo primario (sacrifici) ci troveremo come quelli che si affannano a correre verso l’ultimo vagone di un treno mentre la locomotiva a 150 k/h si avvicina al baratro. Potremo essere velocissimi, ma sempre molto più lenti del treno.

 

(I grafici sono tratti da TradingEconomics.com e da Investing.Com, che ringraziamo)




Ci sono 5 commenti

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  1. Ercole

    Una infinita serie di inesattezze.. Se queste sono opinioni (personali), è corretto esprimerle, ma bisogna spiegare che di sole opinioni si tratta, non di economia.

    Prima inesattezza: l’inflazione della Germania comparata su quella dell’Italia è incomparabile in quanto non è definito che l’investitore del bund sia un tedesco e quello del btp sia un italiano. Se fosse un americano il tasso sarebbe neutro, ad esempio.

    Seconda: L’Italia non vede crescere il suo debito inesorabilmente, ma è una scelta quella di immettere sul mercato più debito; anzi, essendo l’avanzo primario positivo, si potrebbe emettere un debito minore in funzione di questo avanzo riducendo, anziché aumentare il debito. O l’editorialista pensa che gli interessi siano finanziati da nuovo debito?

    Sciocchezza tre: L’austerità fa ridurre il PIL tanto quanto la spesa corrente lo farà aumentare: gli unici a pensarlo sono Di Maio e Salvini.. e Gonzaga. Se così fosse tutti farebbero politiche espansive di spesa corrente: non essendoci un moltiplicatore 1:1, gli economisti liberali tendono ad allontanarsi da questa ipotesi peregrina.

    Pellegrinaggio economico n.4: Le banche centrali non determinano nulla, forse nell’ex Unione Sovietica: le banche centrali possono spingere più o meno la leva inflazionistica nel breve periodo, dopodiché il mercato la “aggiusta”. Tanto è vero che quando il nostalgico Savona era giovane si seguivano le sue teorie, sconfitte dalla storia economica, e l’inflazione saliva a due cifre: e non solo il potere d’acquisto diminuiva, ma anche diminuiva la competitività, in quanto le imprese, sorrette dai costi più bassi per la leva inflazionistica (il sogno di Gonzaga) non investivano in tecnologia, ma distribuivano dividendi, trovandosi assolutamente impreparati quando, in un contesto di mercato globale, sono intervenute sul mercato le aziende asiatiche.

    Non c’è correlazione tra l’aumento dei tassi e l’aumento del debito, ma ci sono più interessi da pagare quindi meno spesa corrente a disposizione.

    Ovviamente c’è una correlazione tra l’acquisto dei titoli da parte della banca centrale, che è l’unica cosa giusta in questo lago di inesattezze.

    C’è correlazione invece tra il tasso d’interesse e il livello del debito, ma la correlazione, essendo un investimento, come anche un bambino potrebbe supporre senza fatica, è sul futuro, cioè sulla aspettativa di restituzione di debito + interessi. Si impennano nel 2009 perché l’affidabilità cala, rimangono costanti e si abbassano dopo perché le riforme montiane generano una sicurezza maggiore di restituzione del debito. Semplice.

    USA: tutto il mondo assorbe moneta, la Cina ad esempio compra il debito americano per avere una maggiore influenza. Bene o male?
    Giappone: il Giappone ha un elevato debito pubblico, ma creando debito per investimenti, che ha un moltiplicatore maggiore di 1:1 crea maggiore ricchezza nella popolazione; inoltre lo Yen è una moneta rifugio, come il CHF: la lira no; il debito pubblico giapponese in realtà è del 140%, poiché buona parte è detenuto dalla banca centrale, che detiene anche titoli di altri paesi (in bilanciamento); gran parte di quanto rimane è in mano a investitori giapponesi; ultima, ma non in ordine d’importanza, nell’immagine degli investitori, un giapponese farà di tutto per ottemperare alle obbligazioni, l’italiano no.
    UK: cresce il debito, ma si mantiene su livelli sostenibili in un Paese il cui PIL cresce nella media EU, mentre l’Italia cresce di meno della metà della media EU.
    USA e Giappone inoltre hanno – e qui sta un punto fondamentale, ma bisogna conoscerlo – hanno un rapporto di ricchezza netta della PA di – 6% e -17%, UK -45% e l’Italia invece ha un – 78%.
    Dalla spirale si esce pagando il debito e utilizzando l’avanzo primario per diminuirlo, o almeno si dovrebbe utilizzare il debito per fare investimenti: questo lo capirebbe chiunque.

  2. Primo Gonzaga

    Concordo. Io mi limito a dimostrare con i numeri cosa sta accadendo per quei pochi che hanno voglia di approfondire.

  3. Paolo

    Bell’articolo, anche se oramai tanti hanno capito che lo spread non ha niente a che vedere con il rapporto deficit /pil, magari ha a che vedere con la fine del QE; Certo tuttora molti credono che fu il sig. monti a disinnescare il rialzo dello spread con la famosa manovra lacrime e sangue per molti, ma non per tutti, al contrario fu Draghi con l’acquisto dei titoli di stato….. sostanzialmente i tanto vituperati Eurobond cammuffati.
    Certo la partita è tutta da giocare e servirà un’abilità politica superiore alla media (anche un certo equilibrio) per giocarla e gestirla bene, l’impressione è che ci si appresti a giocare una mano a poker dove i bluff incideranno più dei numeri reali, nel bene e nel male.


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