Come vivremo dopo la pandemia

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I numeri della strage nel mondo dicono più delle singole cifre: un milione e 200mila morti e 52 milioni di casi, dati tuttora in intensa crescita. Non sappiamo quando finirà ma qualche previsione possiamo già iniziare a farla. Anche perché il mondo del “dopo” non sarà identico a quello di prima.

Il primo aspetto da considerare circa il futuro dopo il coronavirus è la lentezza del tempo in cui vi arriveremo. Non ci sarà una fine prestabilita, non vi sarà un giorno in cui, dalla mezzanotte, il virus sarà debellato e i suoi effetti annientati. No. Saranno tempi lenti e lunghi.

Vi è da prestare particolare attenzione alla percezione della malattia anche qualora essa non sia conclamata, ovvero agli aspetti psicologici che ne derivano. Lo choc di questi mesi ha messo in discussione le nostre certezze, ha sconvolto le nostre abitudini e ci ha messi di fronte alle paure ancestrali: paura di ammalarsi e di morire, in persone di qualsiasi età. Questo choc non è misurabile e le conseguenze che ne deriveranno sono imprevedibili se non in un aspetto: presteremo tutti o quasi maggiore attenzione alla vita sociale, alle precauzioni igieniche, ai contatti fisici, agli assembramenti, all’uso di mascherine come forma di prevenzione perché “non si sa mai”.

Torneremo alla stretta di mano come forma di saluto? Con un estraneo, nel caso che si tratti di un primo incontro, non sarà scontato. I baci sulle guance, molto praticati in Italia? Difficile, come del resto ogni contatto che preveda uno scambio ravvicinato di droplet.

Contemporaneamente si tratterà di verificare i cambiamenti introdotti dalla fase pandemica in settori quali il lavoro, la socialità, le attività culturali e sportive. Dello smart working si è già detto qui: siamo entrati nel periodo della post-presenza, le macchine si sostituiscono all’agente umano, le modalità del lavoro si modificano, gli uffici si svuotano e le abitazioni necessitano di una stanza in più da utilizzare appunto come spazio di attività professionale.

Entro pochi anni la maggior parte delle attività lavorative nei paesi più tecnologicamente avanzati si svolgerà da remoto. È inevitabile che ciò provochi un divario crescente tra chi avrà accesso al lavoro intellettuale e chi no. Si formeranno certamente nuove classi sociali e la forbice sarà destinata ad allargarsi.

In banca non si andrà più, non vedremo più fisicamente chi eravamo abituati a incontrare per ragioni professionali, forse nemmeno più faremo la spesa nei supermercati, luoghi chiusi e potenzialmente malsani, e risolveremo con le delivery il problema del pranzo e della cena. Ma questo avverrà più avanti, quando i nativi digitali saranno adulti e in maggioranza.

E cosa resterà del cosiddetto tempo libero? I grandi eventi dal vivo non sono facili da immaginare. Pensiamo al concerto di Ligabue al Campovolo, già rinviato dallo scorso settembre al giugno prossimo. Quando venne fissata la nuova data dell’evento gli organizzatori erano certi che nel 2021 non si sarebbe già più dovuto parlare di pandemia. Oggi siamo a novembre 2020, quasi tutto il mondo è alle prese con la seconda ondata del virus e nessuno, credo, sarebbe pronto a scommettere che il concerto di giugno a Reggio Emilia si farà.

Teatri, cinema, eventi al chiuso di ogni genere che prevedano assembramenti di persone saranno praticabili nel dopo-emergenza solo con l’obbligo di misure precauzionali ancora per chissà quanto tempo – e chissà come potranno far quadrare i conti quelle attività costrette a ridurre i partecipanti a limiti insostenibili. Torneremo a vedere le code dinanzi a luoghi di distribuzione di beni di prima necessità. E dovremo inventarci nuove forme di socializzazione, perché con queste premesse anche l’uomo animale sociale avrà come sempre bisogno di affetto e libertà.




C'è 1 Commento

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  1. paolo

    Se in banca non si andrà più meglio portare i soldi a casa…in contanti…possibilmente in dollari…se al contrario si ha solo debiti meglio cmq non andare…


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