Anche i giovani muoiono di Covid

giovane donna Covid

“Di Covid muoiono soltanto gli anziani” è il luogo comune che si è in questi mesi via via fatto certezza. Poi scopri che a Luzzara ne è morta una ragazza di 21 anni e le discrete sicurezze che hai messo da parte per evitare di preoccuparti troppo vengono di colpo a cadere. Sì sì, le fotografie postate in rete non lasciano spazio a dubbi: si tratta proprio di una giovanissima, non di un refuso di chi ne ha scritto. E a questo punto si affacciano domande più stringenti.

Sei proprio sicuro che intorno al virus si sia fatta troppa confusione? Che si tratti di un fenomeno sopravvalutato e amplificato dai media? Che medici e scienziati abbiano già scoperto uno o più vaccini e che ora la pandemia sia sotto controllo, o destinata ad esserlo entro poche settimane?

A me pare che queste siano beate illusioni giustificate da mere (e comprensibili, per carità) esigenze di salute mentale. I più non se la sentono di affrontare situazioni di stress psicologico e preferiscono il negazionismo in senso ponderato, una sorta di approccio morbido a un evento potenzialmente nefasto.

È la visione di chi propose nel primo lockdown lo slogan “andrà tutto bene”; slogan consolatorio e tranquillizzante per sostenere la partita interiore tra paura e fiducia.

Oggi nessuno si sente più di dire fideisticamente che andrà tutto bene, perché bene non sta andando. Irrompe un bisogno di realismo, si vuol capire come stiano effettivamente andando le cose. E le cose, per come le possiamo vedere applicando le misure di prevenzione indicate dalla medicina e dal governo, e informandoci costantemente sugli sviluppi della situazione, vanno osservate e affrontate con razionalità. Anche se non piacciono.

La prima risposta che ci siamo dati osservando gli eventi è che del virus e delle sue possibili mutazioni sappiamo ancora pochissimo. La prospettiva salvifica di un vaccino rappresenta la classica luce in fondo al tunnel ma nessuno oggi è in grado di esprimersi con ragionevoli certezze. I vaccini in via di definitiva elaborazione impattano sul virus per come lo conosciamo oggi, non sulle sue eventuali forme di sviluppo e sopravvivenza nell’essere umano. Nessuno tra i virologi più accreditati si sente d’altronde di fare previsioni in tal senso, se non molto vaghe.

Non essendovi certezze ci si rifugia nella rielaborazione dei programmi. A settembre scorso, per sentirci al sicuro, abbiamo rinviato tutto o quasi al 2021, nella sincera convinzione che ad allora tutto sarebbe stato risolto. Al 2021 mancano 42 giorni e siamo invece nel pieno della seconda ondata, divisi in zone colorate a seconda della gravità della situazione.

La fine terribilmente prematura della ragazza di Luzzara riporta in luce i timori sommersi. Non muoiono di Covid soltanto gli ottuagenari e i centenari, dunque. Scienza e medicina sanno dare risposte? Al momento no. Al contrario: man mano che si procede emergono nuovi interrogativi.

La biologa Barbara Gallavotti ha divulgato nei giorni scorsi i risultati di uno studio che dimostra come, in un caso su venti, chi abbia attraversato il Covid indenne o quasi abbia a distanza di mesi manifestato perdita di memoria totale o parziale, “nebbia e stanchezza mentale”. Lo studio ha preso in esame persone tra i 18 e i 49 anni di età.

Per comprendere quante ulteriori sorprese possa riservarci il virus basta seguire con attenzione le cronache quotidiane. Un altro studio rilevante apparso giorni fa ha reso noto che in seguito a decine di autopsie sono emerse nei polmoni dei deceduti lesioni anomale spiegabili solo con la fusione di cellule e la creazione di trombi. I danni provocati dal Covid sui polmoni dei pazienti sono apparsi quanto mai estesi. Un altro studio ha indagato sulle conseguenze permanenti riportate dai pazienti Covid sopravvissuti all’aggressione polmonare.

Da ultima, la questione vaccini. Un sondaggio Ipsos indica che la maggioranza degli italiani, prima di vaccinarsi, preferirebbe attendere i primi risultati. Un italiano su sei dichiara addirittura di escludere di volersi vaccinare. Di fronte a questi dati si può scegliere la strada dello stigma sociale o, in forma più appropriata, di un’intensa e corretta attività di informazione. In tempo di negazionismi la strada per arrivare a scelte condivise è ancora lunga.




C'è 1 Commento

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  1. Miten Veniero Galvagni

    Grazie Direttore. Lucido e realistico articolo sullo stato dell’arte del contrasto alla pandemia che sempre più si dimostra in grado di abbattere, da un giorno all’altro, sia stereotipi di matrice delirante che acquisizioni scientifiche date per certe fino a poche ore prima. Credo che la sua sensibilità nei confronti della cultura e controcultura giovanile, più o meno “pseudo”, farebbe un gran bene alla maggior parte dei suoi lettori e dei suoi colleghi (esclusi solo Purgatori, Gramellini, Gruber e Gallavotti) se approfondisse il tema del negazionismo, moderato o spinto, soprattutto appannaggio di donne di età tra i 40 e i 60 anni, affascinate dal movimento New Age, vittime dell’ideologia dell”‘antipolitica e sostenitrici di una libertà comportamentale ad oltranza. Grazie.


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