Senhit dà voce al Pride di Bologna

Senhit, una delle più internazionali artiste italiane, dà voce al Pride di Bologna.


 

Nata e cresciuta nel capoluogo emiliano, l’artista italo eritrea, attualmente in studio di registrazione per lavorare al suo nuovo progetto discografico, il 7 luglio chiuderà con un concerto la Pride Week bolognese, esibendosi sul palco principale insieme agli Sdruciti, cover band autoctona – composta da Federico Oppi alla batteria, Paul Pieretto al basso e Daniele Branchini alla chitarra – con cui Senhit iniziò a suonare di ritorno in Italia dopo le esperienze di successo all’estero con i grandi musical come “Il re Leone”, realizzato dalla Walt Disney in Germania, e gli svizzeri “Hair” e “Fame”. 
Una storia di amicizia lunga più di 12 anni che trasmetterà sul palco un’energia travolgente in occasione di una festa centrata sull’amore, il rispetto e la condivisione. 
 
Un concerto al ritmo degli evergreen della musica italiana e internazionale, arrangiati ex-novo dall’artista con il gruppo e resi unici dalla sua inconfondibile voce, in appoggio al Comitato Bologna Pride che anche quest’anno riempirà di corpi, colori, emozioni e rivendicazioni le strade della città.
 
24Emilia l’ha braccata, appena scesa dall’aereo, di ritorno da un breve break a Londra. 
 
Facciamo un piccolo riassunto, Senhit.
Lo scorso anno ti sei esibita ad Amsterdam, Parigi, Manchester, Berlino e Londra, e sei stata invitata sul palco del Festival Show in quattro tappe, compresa la finale in Arena; protagonista musicale del tour “Giochi del calcio di strada”, hai pubblicato da poco l’ep “Hey Buddy”, dove governa l’electro pop in lingua inglese – brani prodotti per la maggior parte da Brian Higgins (che ha lavorato con Kylie Minogue, Pet Shop Boys, Kaiser Chiefs e molte altre icone della scena inglese) – e adesso sei attualmente in studio di registrazione, al lavoro su nuovi brani in lingua italiana. 
 
Un cambio di rotta? Cosa dobbiamo aspettarci (e quando magari) dal tuo prossimo disco di inediti?
Io amo ricordarlo anche a me stessa, sono italianissima: per quanto sia colorata e le mie origini eritree, io sono nata a Bologna e sono di Bologna. Ho esordito a livello discografico con Gaetano Curreri, che è stato il mio primo produttore artistico. Non essenedo una cantautrice ma un’interprete, e avendo voglia di omaggiare la mia città, il primo progetto artistico fatto con Gaetano è stato un album di cover di musicisti bolognesi riarrangiate, con l’aggiunta di un paio di suoi inediti, scritti insieme al suo autore di fiducia.
Solo dopo ho avuto la fortuna di essere “pescata”, mentre lavoravo per Disney, dalla Panini di Modena – non solo azienda leader nel campo delle figurine, ma anche editore musicale – che ai tempi cercava un personaggio che potesse diventarne il portabandiera anche a livello internazionale. Io ho sempre parlato diverse lingue e mi allettava l’idea di sperimentare questa internazionalità, testata con i musical nei teatri in giro per l’Europa, anche come solista. Era un esperimento anche per Panini, che cercava di diversificare e ci ha messo grosse risorse e sempre grande entusiasmo. Ad oggi, sono ancora l’unica “figurina” prodotta e distribuita musicalmente da loro. Mi piaceva l’idea di uscire dall’Italia, non solo perché ero giovanissima, ma perché in Italia c’erano solo dinosauri o talent che ti spremevano e poi si dimenticavano di te.
Ho fatto davvero un miliardo di cose “fuori porta”, ma poi sono cresciuta e l’anno scorso mi è venuta una gran voglia di stare a casa e ho chiesto una pausa, proprio perché vorrei provare a tornare a cantare nella mia lingua, che è appunto l’italiano. Non c’è alcuna strategia, ma solo il grande desiderio di provarci, con l’opzione di distribuire l’album magari anche all’estero e anche in lingua inglese. Sono consapevole di correre un grosso rischio, ma non c’è niente da fare, io sono cocciuta e ci voglio provare.
L’idea quindi, è quella di uscire con un singolo dopo l’estate e con l’album a inizio 2019. Ho un management nuovo, mi sono voluta circondare di persone nuove, sul suolo italiano, di parlare con produttori nuovi, musicisti nuovi: è una pre-produzione molto lunga ma, prima o poi, riusciremo a trovare il pezzo giusto, ne sono sicura.
 
Intanto, il video del tuo ultimo singolo “Something On Your Mind”, ha superato le 400mila visualizzazioni su Youtube: te lo aspettavi? 
 

Assolutamente no. Quando Daniele Piras mi ha raccontato come volesse realizzare il video, inizialmente ho pensato fosse un pazzo e, in parte, che l’idea fosse azzardata. Abbiamo scelto Ibiza e pensavo francamente di godermi, finite le riprese, anche tre giorni in ammollo. Invece è stato massacrante: quattordici ore di riprese ogni giorno, in presa diretta, senza sosta e usando i fotogrammi come fossero reali. Piras ha usato una tecnica particolare di Time Lapse. Il Music Lapse, in sync con il brano. La location si prestava particolarmente al tipo di canzone e al tipo di lavoro che voleva essere fatto, quindi il prodotto finito ha avuto quello che si meritava. Una splendida esperienza, una bellissima avventura, ma se mi chiedesse oggi di rifarlo, però, direi di no. 

 
Non solo per le origini, ma soprattutto per il background artistico e il sound dei brani prodotti oltremanica, sei considerata come “la più internazionale delle artiste italiane”. Ti fa effetto? In che proporzione ti senti italiana, rispetto a quanto invece sei cittadina del mondo? 
Mi fa molto effetto, anche se è così e il concetto è proprio questo: mi sento come Ulisse per Itaca, che deve ritornare a casa, per poi ripartire.
Bologna è sempre stata la culla della musica italiana e nonostante il tempo passi, vive ancora un grande fermento e c’è ancora un grande entusiasmo a livello musicale. Io ci vivo benissimo, ma anche a livello di piacere personale, ho comunque sempre bisogno di assaporare altre culture, altre situazioni. Ho fatto della mia passione, il mio lavoro e questo mi ha permesso di unire l’utile al dilettevole. Ho fatto tante cose all’estero, ma sempre con un piede salto a terra in Italia, a Bologna. Serena nel poter tornare a casa dagli affetti, in una città che mi ha accolta, ha accolto la mia famiglia e mi ha sempre fatto sentire molto protetta. Sono una spugna e anche caratterialmente, ho bisogno di conoscere altre razze, religioni, culture, musiche che possano condizionare il mio percorso lavorativo e umano. Mettere il naso fuori di casa, quindi, è il compromesso necessario e la scusa per tornare a casa più felice di prima per essere tornata.
 
Hai lavotato e lavori – e il frutto di queste esperienze prende forma nei tuoi concerti dal vivo – con produttori del calibro di Brian Higgins, Steve Daly & Jon Keep e busbee; poi, torni a Bologna, appunto, scendi in campo nella tua città e non ti si stringe lo stomaco? Nulla che ti vada stretto, quindi?
Nulla. Nessuna forzatura, nessun obbligo: però così come arrivo, me ne vado anche. Devo sempre avere il guinzaglio molto lungo e molto lento, perché appena sento che stringe, scalpito. Questo succede anche a livello musicale: se mi rendo conto che non ho stimoli, vado a vedere se accanto nello Stato accanto, trovo qualcosa di più stimolante. Mia mamma, scherzosamente, dice da sempre che sono “un culo senza pace”, perché non riesco a stare ferma. Sono onnivora, anche a livello culinario; mi piace sperimentare, conoscere, proprio perché mi permette poi di sentire il bisogno di tornare a casa, nella mia caldissima e afosissima città. Non mi sono mai sentita così serena e protetta come a Bologna, fatta a misura d’uomo e ancora molto giovane, con ancora un sacco di cose da dire.
 
Hai cominciato la tua carriera artistica nei musical di Massimo Ranieri e di Disney on Broadway che ti hanno permesso di calcare grandi palchi e di viaggiare molto, portando con te la curiosità e l’amore per la vita. Nel 2006 rientri in Italia e qualcosa scatta: inizi la carriera musicale da solista. Qual è stato il motore propulsore? Quando hai sentito che era ora, ma soprattutto, cosa ti ha fatto decidere? 
Dopo quasi quattro anni di grandi musical, dove sempre stata protagonista o coprotagonista, e dove ho imparato con disciplina a stare sul palco, ho avuto anche la percezione di potercela fare da sola. Avevo il bagaglio del teatro, la presenza scenica, la  lingua tedesca e inglese che conoscevo come l’italiano e ho pensato che questo bastasse per poter uscire dalle grandi produzioni e mordere il mondo, da sola, guadagnarsi la propria porzione di universo come solista e invece no, mi sono dovuta mettere molto in discussione. Sono stata fortunata perché mi hanno lasciato il tempo, durante il percorso, di maturare l’idea della solista che volevo essere. E ho impiegato molti anni per arrivarci, per entrare piano piano nel mondo della discografia e realizzare che non era il paese dei balocchi, ma una mare di squali; senza perdere di vista la consapevolezza che questo è quello che voglio fare: ho voglia di cantare, di fare musica, di fare live; perché non c’è niente di più terapeutico della musica. Mi sono anche chiesta che cosa avrei potuto fare, se non avessi intrapreso questo percorso e non ne ho idea. Forse sarebbe stato comunque qualcosa nell’ambito dell’arte, ma so che io dalla musica traggo beneficio e finché sento questo fuoco, continuerò a fare questa cosa qui, senza troppe ambizioni. E Bologna in questo mi tiene già ben salda a terra, bella rilassata come si dice qui, circondata dai miei affetti e dalla vita reale.
 
Qual è la prima cosa che hai pensato, quando sei stata chiamata a partecipare alla Pride Week bolognese?
Ho fatto i salti di gioia. La prima volta che me lo chiesero, tre anni fa, mi divertii moltissimo. Partendo da questo presupposto, stavolta, non ho dovuto contare fino a 3. Anzi, lo avrei chiesto io, se non fosse arrivata la proposta. Non è nemmeno tanto la questione di poter andare a letto con chi ti pare, è che in Italia abbiamo fatto negli anni passi da gigante a livello di diritti e tornare indietro mi fa arrabbiare moltissimo. Per quel che conta, la mia piccola parte quindi la voglio fare.
Deve rimanere una festa, ma con un messaggio forte e chiaro e quel messaggio lo voglio dare anch’io. E’ tempo, a modo proprio, di far sentire la propria voce e io, la mia, la faccio sentire cantando.
Sole, cuore e amore in forma festosa, nel rispetto di sé e degli altri; o voglia di denunciare uno stato sociale “bollito”, demagogico e asfissiante? Qual è il tuo punto di vista?
La seconda, ovviamente. Però, senza nessun tipo di estremismo. Fai guerra, porti guerra. C’è molta determinazione dietro questo happening e si vuole centrare dritto l’obiettivo. Se siamo tante voci, tante coscienze che possano scuotere la situazione, magari ci sentono. Dobbiamo farci sentire, ne abbiamo anche l’onere. Bologna rimane, poi, una delle città tra le più accoglienti a livello di diritti e indietro sicuramente non si può tornare.
 
Il live di Senhit, in chiusura della Pride Week di Bologna che anche quest’anno culminerà con la parata che richiamerà migliaia di persone da tutta Italia e non solo da tutta l’Emilia Romagna, sarà sabato 7 luglio e comincerà al rientro del corteo, verso le ore 20.00,  al Parco Giardini Regina Margherita (viale Meliconi, 1).