Mingardi: il rock può risvegliarci dal torpore

Senza filtri, come siamo in molti, nella festante Pianura Padana.
 
Estroverso, cordiale e profondo, come sa essere solo chi – appunto – ha visto cose che…
 
Andrea Mingardi si siede "sull’immaginario cornicione dell’età e di un percorso pieno di passioni>> e realizza che c’è un vuoto: che tutti i generi che da ragazzo lo hanno rapito e spinto a buttarsi nel mondo della musica sono sempre più rari e di fronte ad un pubblico orfano di soul, rock, funky, blues e di esseri umani vivi che sudano sul palco per far ballare quei primitivi sentimenti di sempre, <<con la stessa testarda e ignorante energia di tanto tempo fa e con la presunzione che ci sia ancora tanto da dire" sforna 13 pezzi da antologia.
 
Ci sono cultura, ironia, contaminazione e rispetto, nel suo ultimo lavoro. E un mare di domande che ne colorano l’anima e a cui solo lui può rispondere.
 
Andrea buongiorno, hai visto cose terribili e magnifiche, come recita il brano che da il titolo al tuo nuovo album. Più le une, o più la altre?
 
"Diciamo che è difficile quantificarle, sono state fortunato perché le terribili non riguardavano direttamente me, ma forse nemmeno le magnifiche; però quando assimili le brutte, tutto il resto è oro e si trasforma in esperienza".
 
Ci sono anche cose che "non potrai scordare mai": tra quelle che puoi citare, ad esempio, la più importante?
 
"Sono troppe e fino a quando non sarò colto da Alzheimer, me le voglio ricordare tutte. Certi momenti della mia vita quando ho iniziato a suonare, certi amori, certi dischi e le collaborazioni con grandi artisti, la Nazionale Cantanti…  scegliendo qualunque di queste, farei torto alle altre. Non me la sento, ma quanto è bello ricordare".
 
Abbiamo detto 13 tracce in cui si miscelano soul, rock, funky, blues: ma di tutti, qual’è il genere che senti che ti rappresenti di più?
 
"Sono partito con il jazz,  che era la disciplina intellettuale più importante dell’epoca, poi sono passata al blues, al funky e al rock. Tutte le cose belle mi hanno sempre catturato. In ogni genere c’è qualcosa che mi ha appassionato, che mi ha preso, annesso e connesso, e legato sempre più alla musica nera. Come matrice, direi una matrice soul".
 
C’è anche un po’ di rap: un featuring con Frankie Hi-Nrg Mc, il brano è Anima Soul. Come è nato?
 
"Ci conosciamo da sempre. Lui ha scritto queste cose molto divertenti, ironiche, assolutamente in linea con il pezzo; ha voluto giocare con quello che di solito la gente non ama prendere in giro e io l’ho amato subito. Le collaborazioni nascono così, quando c’è affinità intellettuale tra artisti e nessuno ha bisogno di chiedere niente all’altro".
 
Perché in fondo, "ci vuole che qualcuno adesso accenda il motore", no? Questo pezzo, Ci vuole un po’ di rock’n’roll, è presente, tra le altre cose, anche nel nuovo disco di Mina, "Maeba". Voi avete più volte collaborato e duettato nel corso degli anni, ma perché questo pezzo, tra tutti?
 
"Scrivo delle cose, poi lei me le chiede. Dieci giorni prima che uscisse il suo disco, mi ha detto che aveva inciso Ci vuole un po’ di rock’n’roll e anche io, ovviamente, e avevo paura che mi dicesse di toglierlo e invece – visto che oltre ad essere una grandissima cantante è anche una grandissima persona – mi ha detto: chissenefrega, il pezzo è una bomba, facciamolo entrambi.
 
Il dna è quello: la voglia di rivoluzionare, di cambiare un po’ le cose, di dire basta al pop melanconico, gelatinoso e perbenino. Il rock ha stravolto i nostri anni ’70 e adesso funzionerebbe bene come sberla per tutta questa gente consegnata al popolo televisivo".
 
E l’Emilia? Quanto contano le radici?
 
"Contano moltissimo. Tutti i cantautori e i musicisti, i produttori e i direttori d’orchestra, gli scrittori, gli attori hanno sempre trovato terreno fertile in Emilia; perché l’Emilia ha un background che sembrerebbe cheap, a buon mercato, ma che in verità – dai palchi delle balere alle discoteche – ha fatto nascere decine di talenti che hanno sfornato meraviglie. Persino Bocelli è nato facendo piano bar in Emilia e in Toscana. L’orchestrale di un tempo, era un musicista che suonava 60 canzoni per sera e questa esperienza qui, è riuscita a filtrare e a far fare tante altre cose a tutti. Mauro Malavasi, Guccini, Morandi, Vasco, Dalla, Pavarotti… ce solo l’imbarazzo della scelta".
Come si regola e si inserisce nel contesto musicale attuale, un artista della tua caratura e per citarti, "anche come carattere, altro che diplomatico"? C’è un pezzo, tra tutti, Sono ancora vivo, che denuncia i talent show. Tutti, senza differenza di sorta.
 
Quando non vai in tv per un po’ di tempo la gente pensa che tu sia morto. Io non sono mai morto: ho fatto cinque Sanremo, ho venduto milioni di dischi… Però oggi non c’è la stessa cultura. Accendi la radio e trovi sempre la stessa pappa. Se chiamo in radio e chiedo un pezzo di Frank Zappa mi chiedono chi è. Attenzione, non si tratta di essere snob e non significa che se non conosci Frank Zappa o Bob Dylan, o Jimy Hendrix sei un deficiente: ma qui hanno occultato tutti i generi musicali alla base della musica pop rock. E se anche si presentasse ad un talent un nuovo Bob Dylan, non passerebbe nemmeno dalla porta al primo step.
 
C’è un mondo che ha deciso che sono più facili da vendere, da spacciare, certe cose più semplici e quelle devono andare. Punto.
Prince è stato il primo artista indipendente; Bob Marley è stato in causa con la Sony; Jackson ha avuto i suoi problemi… ogni difficoltà che poneva l’artista, che si lamentava, lo portava ad auto escludersi.
Questo è un mondo che non ha pietà. Allora se tu vivi per fare degli autografi, o per andare in televisione, rischi di entrare a casa una sera, appenderti al soffitto e dare un calcio al seggiolino.
Se invece lo fai per suonare, lo puoi fare indipendentemente dalla tv e dalla radio.
Questo pezzo parla di questo periodo oscuro, bruttino, senza più punti di riferimento. Ma può darsi che ci sia un cambio di rotta, un rinascimento. E chi mi dice, che senza cancellare nessuno non possa tornare un periodo in cui c’è maggior rispetto e risalto per la qualità.
Questi ragazzini perfetti che cantano benino, lo devono a chi ha lasciato una traccia in questo mondo e in questo mestiere".
 
Per questo, vorresti che domani fosse Il primo giorno del mondo? Cosa ti ha deluso di più di questo?
 
"Ho avuto e ho una vita fortunata, ma vedo gente in giro che non è felice. Un sacco di gente che si guarda indietro con nostalgica amarezza. Oggi è tutto troppo social, è poco ‘vita’. Prova ad andare in una bar e a parlare con della gente. Prova a farlo a Milano, non c’è la possibilità. E’ uno stile di vita che no ha niente a che vedere con il confrontarsi, il parlare, il comunicare: se uno voltandosi indietro, trova che sia tutto un po’ peggio di qualche tempo fa, allora si augura che domani ricominci per tutto, in meglio. Come a scuola, quando aprivi il quaderno nuovo: come eravamo precisi sulle prime pagine; poi, dalla seconda pagina una macchia e dalla terza un sacco di errori e cancellature. Ecco, un new deal, un nuovo corso, abbiamo bisogno di qualcosa di positivo, perché oggi hanno creato il mondo di quelli che tanto non ci credono più".
 
SuperCircus era il nome della band internazionale che hai messo insieme negli anni ’70: c’è nostalgia, nel richiamarne l’attenzione sulla copertina dell’album?
 
"E’ una medaglia al valore civile, che appendiamo al petto di questi musicisti che ne hanno combinate di tutti i colori e che la gente ancora si ricorda a distanza di 40 anni. Venivano ad ascoltarci al Marabù e al Picchio Rosso, cantavamo un’ora e mezzo e la gente si beccava dei brani complicati, con dei testi pazzeschi; una sorta di teatro che rubavamo allo spazio di una discoteca. Oggi sarebbe una follia. Quello era un momento fondamentale per la musica e quando lo dico parrebbe nostalgia buona, invece è una constatazione: ero stupito anche io di come ci accoglievano. Se facessi oggi un’ouverture di questo tipo, mi ammazzerebbero. Suonavamo davanti a 4000 ragazzi che avevano solo due obiettivi in testa, ballare e cuccare, ma stavano zitti: c’era attenzione e grande rispetto per i musicisti, che per diventare bravi compravano strumenti, studiavano. Mi sembra di essere tornato all’oscurantismo, al Medioevo".
 
E per quanto riguarda l’esperienza attoriale, cosa mi dici? Quando è uscito l’album Auguri auguri auguri, hai fatto la colonna sonora del film Il peggior Natale della mia vita e in quell’occasione ci hai recitato, bissando il successo della Peggior settimana della mia vita…
 
"Mi sono divertito moltissimo. Fabio de Luigi mi ha invitato e mi ha chiesto se volevo interpretare il ruolo di suo padre. Nel film precedente, invece, ero stato il fidanzato maturo di Arisa. E’ andato anche molto bene il film e mi sono divertito tantissimo. In questo, poi, ho portato anche tutta la mia band che per l’occasione ha inciso il cd con tutte le canzoni più belle di Natale.
 
Cinema e musica sono mondi molto vicini. Un produttore deve far sì che tutto funzioni nella stessa maniera. Sono entrambi strumenti molto democratici: tutti quanti, se intelligenti, sacrificano la presunzione di essere solisti per il gusto di trovare un bel prodotto finale, di essere insieme. Gli assoli fanno vedere che sei bravo magari, ma dopo un po’ rompono i coglioni.
 
E’ bello fare incastrare tutti questi tasselli: sei nelle mani di un regista che lavora per la democrazia della comunicazione e si impara il senso della misura.
 
Io lo so che lo sai che lo so… che mi hai promesso di continuare davanti a una lasagna".