La repubblica dell’impingement

In un paese normale, dove le parole possiedono ancora un margine di credibilità, l’intemerata dei 5Stelle contro il presidente Mattarella avrebbe scosso l’opinione pubblica nel suo insieme, ma anzitutto avrebbe determinato effetti concreti all’interno della forza politica che l’ha prodotta.
 
Abbiamo tutti negli occhi i comizi a caldo (poi confermati a freddo la mattina dopo) di Di Maio e Di Battista e le loro parole di fuoco contro il capo dello Stato. La messa in stato di accusa del presidente della Repubblica, acclamata dalla piccola folla urlante a favore di telecamera, si associa a meraviglia con le esternazioni Facebook di Di Battista padre, che rivolgendosi irritualmente e del tutto impropriamente via Facebook all’inquilino del Colle aveva evocato nientemeno che la Bastiglia e la fase storica che fece seguito alla rivoluzione giacobina, con ghigliottina al lavoro per anni.
 
La clamorosa richiesta di impeachment ha sorpreso per primi i militanti grillini, molti dei quali si sono tuffati su Google per scoprire la dicitura esatta di quella locuzione in lingua inglese sino ad allora sconosciuta. Ne è scaturito un effetto comico: la maggioranza delle ricerche sul motore di ricerca ha registrato un sacco di richieste a nome "impigement" – circostanza assai indicativa della preparazione generale dei più accaniti patrioti pentastellati.
 
Quale arma segreta contenesse questo misterioso "impigement" non si è capito per quasi quarantott’ore, il tempo necessario affinché il capo politico del più votato partito italiano si rendesse conto di essere scivolato su una buccia di banana esponendo se stesso e il Movimento ad accuse di irresponsabilità nonché a parecchie ironie.
 
Ma ciò che davvero più colpisce almeno il sottoscritto, in questo che è solo uno dei casi da clinica psichiatrica che la politica italiana va sottoponendo alla scena mondiale, è l’assoluta irrilevanza etico-emotiva che ha fatto seguito alla colossale sciocchezza commessa da Di Maio. Il quale – ripeto, nel volgere di nemmeno due giornate piene – si è trasformato da accusatore di Mattarella in quanto presunto golpista ad assiduo frequentatore del Quirinale nello scopo disperato di rimettersi in gioco per formare questo benedetto governo.
 
Frequento la strada, da cronista scarpinatore, e percepisco la noncuranza generale verso l’episodio. Nei bar scrollano le spalle. Le signore commentano "beh, Di Maio sembra il più sincero". L’impigement è passato come una meteora, un fuoco d’artificio nello tsunami di dirette, chiacchiere, talk-show, dichiarazioni e discussioni che occupano media e socialmedia con contatti da record.
 
Gli italiani sono fatti così. Preferiscono rimanere sudditi anziché assumere la piena consapevolezza dell’essere cittadini. Il tasso di civiltà è crollato nel volgere di pochi decenni. Oggi l’articolazione di un minimo ragionamento è gravemente stigmatizzato in un contesto pubblico. Funzionano slogan primordiali, urla, sceneggiate da Grande Fratello, emozioni forti, pianti, sorrisi. A tutto ciò fa da collante il lamento, la protesta, la rabbia, l’odio, la colpa rivolta regolarmente verso l’altro o gli altri. Noi, ciascuno di noi o dei nostri prossimi, dalla colpa siamo esentati. E per questo inseguiamo chi ci promette la remissione di debiti e peccati, perché se anche sentissimo di averne commesso qualcuno, la colpa ricadrebbe sugli altri. Che siano l’Euro, la Kasta, i politici, Renzi, Berlusconi, il Bilderberg o i Templari redivivi non importa. Chiunque sia, venga maledetto al posto nostro.