L’agenda Salvini-Di Maio

Il presidente Mattarella sta conducendo i partiti verso una soluzione positiva dal pasticcio creatosi all’indomani del voto del 4 marzo, conseguenza di una legge elettorale scritta male e alla quale ci si augura che il Parlamento sappia presto trovare una forma sostitutiva adeguata.
 
Dopo oltre due mesi di stallo e incomunicabilità, Mattarella ha saputo obbligare le due forze vincitrici alle elezioni a un passo avanti che probabilmente risulterà decisivo. L’ipotesi della nascita di un governo neutrale ha spaventato tutti gli attori in campo (Pd escluso, ma dovremo abituarci a considerare il Pd quel che rappresenta oggi in Italia, ossia una forza minore e comunque in profonda crisi di identità) e li ha costretti, finalmente, a fare politica per davvero.
A quest’ora, giovedì sera, non è ancora detto che dalla trattativa tra Salvini e Di Maio esca una proposta di esecutivo in grado di assumere un mandato pieno e ricevere la fiducia delle Camere. Ma ci sono buone ragioni per sperare che si esca dalla palude e si evitino soluzioni assurde (elezioni a luglio) o gravemente pericolose (esercizio provvisorio in autunno, clausole di salvaguardia e aumento dell’Iva annessi).
 
Dove potrà condurre l’Italia il tandem a trazione populista cosiddetto giallo-verde è certamente un’incognita.
 
Le promesse di campagna elettorale – più slogan che programmi – sono ovviamente destinate a sgonfiarsi. Non esistono le condizioni pratiche né per l’adozione del reddito di cittadinanza fortemente evocato dai 5Stelle, peraltro ottimo argomento per conquistare voti nelle regioni meridionali, né per l’introduzione di una flat tax originale secondo quanto promesso da Salvini.
 
Su questi temi è verosimile che il futuro eventuale governo vari misure annacquate ma sostenibili: un maggiore sostegno al reddito di inclusione e una riorganizzazione della fiscalità generale che tenga conto delle drammatiche conseguenze prodotte dalla doppia crisi 2008-2011 che ha falcidiato il lavoro autonomo, le partite Iva, le piccole imprese e le imprese familiari, autentico tessuto connettivo dell’Italia che produce la gran parte del Pil.
 
Più complicato sarà mettere mani alla riforma delle pensioni denominata legge Fornero. Anche perché la coperta corta dei conti pubblici non consente voli pindarici, e anzi esige misure di copertura in sede di manovra non inferiore ai 18 miliardi di euro per scongiurare la misura sull’imposta sul valore aggiunto contenuta automaticamente nel famigerato fiscal compact.
 
L’economia sarà il primo banco di prova per il governo cosiddetto "populista". Gli elettori della Lega (il Nord) si aspettano sgravi fiscali, diminuzione della pressione fiscale, minore burocrazia e forte deregulation sul costo del lavoro. Quelli del M5S (il Sud) chiedono soprattutto misure di carattere assistenziale e garanzie attraverso l’intervento dello Stato, con investimenti pubblici rilevanti e politiche orientate al superamento della disoccupazione giovanile, giunta da tempo a livelli inaccettabili.
 
E’ indispensabile che il nuovo governo approfitti dei primi mesi di lavoro per impostare le riforme che intende fare. Non va infatti dimenticato che la bonaccia che regna da tempo sui tassi di interesse e sulla sostanziale tenuta del debito dipendono quasi esclusivamente dal bazooka voluto dal governatore della Bce Mario Draghi mediante l’ormai celebre quantitative easing, ossia la garanzia di acquisto di titoli di Stato immessi sul mercato di cui l’Italia sta beneficiando come e più di altri Stati. L’uscita di Draghi da Francoforte e una potenziale stretta sul rigore in caso di guida tedesca della Bce (Weidmann?) riporterebbe il tema della credibilità e sostenibilità dei conti italiani al vaglio dei mercati internazionali, e con tassi previsionali di crescita così scarsi come confermano governo uscente e Istat (circa l’uno per cento nel 2019) non vi è alcune ragione per sentirsi al riparo da nuove ulteriori scorribande.
 
Si diceva in apertura di Mattarella. Va riconosciuto al capo dello Stato, al di là dello stile sobrio a cui eravamo già abituati, la tempestività con cui ha voluto sottolineare  la sua ferma opinione riguardo i pericoli delle tentazioni sovraniste e le nostalgie di un’Europa ottocentesca. Seduzioni che hanno trovato molti estimatori in questi anni, sia in Italia sia nel resto del Continente, ma che non troveranno un solo millimetro di spazio almeno durante l’attuale mandato presidenziale.