Il guadagno nel fallimento

Le ultime due udienze di Aemilia, in attesa delle conclusioni che slittano ai primi di marzo e dureranno qualche mese, hanno avuto il pregio di riportare il processo al cuore del problema: le attività economiche illecite che la ‘ndrangheta emiliana, secondo la Direzione Antimafia, ha inventato e impiantato nella nostra regione, depredando risorse pubbliche e compromettendo il libero mercato.
 
Lo ha fatto sfruttando in particolare due elementi assolutamente unici che caratterizzano il suo radicamento al Nord negli anni tra il 2005 e il 2015. Da un lato la propria eccezionale creatività nel campo della falsa fatturazione e delle truffe societarie. Dall’altro la sovrapposizione tra il momento più alto della capacità di penetrazione nel territorio della cosca e il drammatico evento naturale del terremoto 2012. Che come tutti i terremoti ha suscitato l’unica emozione del possibile arricchimento ai mafiosi di turno e ai loro occasionali complici mimetizzati tra la gente perbene.
 
A riportarci dentro queste storie, già lungamente affrontate nei due anni del processo, sono stati i consulenti d’ufficio della PwC nominati dal Tribunale, che ha voluto così sentire una voce terza dopo le ricostruzioni dell’accusa e le controdeduzioni delle difese.
 
PwC sta per PriceWaterhouseCoopers, una aziendina che si occupa di revisioni di bilancio e consulenze fiscali in 158 paesi del mondo, con circa 220mila dipendenti. Tre di loro, tra i 4400 che lavorano in Italia, sono venuti in aula martedì 30 gennaio per esprimere il proprio parere professionale sulle operazioni societarie che nell’ordinanza di rinvio a giudizio vengono definite: “reimpiego e frodi fiscali”, in particolare sulle cosiddette “frodi carosello”.
 
Il giudice Alberto Ziroldi, nell’istanza che rispondeva il 15 gennaio 2015 alle 203 richieste di arresti presentate dal procuratore Marco Mescolini, diceva: “Uno degli aspetti nevralgici dell’attività criminale legato alla trasformazione in senso imprenditoriale della ‘ndrangheta è rappresentato dagli illeciti di natura fiscale conseguenti al reimpiego di denaro delle organizzazioni criminali. Illeciti che derivano da un vorticoso giro di fatture per operazioni inesistenti”.
 
Questo vorticoso giro di fatture è segnalato in una decina di capi di imputazione che coinvolgono 31 persone, 14 delle quali già condannate nel rito abbreviato. Per avere un ordine di grandezza di ciò di cui parliamo, è bene sapere che solo tra il 2010 e il 2012 circa 30 diverse società riconducibili alla ‘ndrangheta, con sedi sparse tra Montecchio, Gualtieri, Boretto, Reggio Emilia, Parma, Verona, Milano e Lugano, hanno emesso fatture ritenute false dalla Direzione Antimafia a favore di 140 società, comprese sé stesse, per un importo complessivo di 47,3 milioni di euro. Le merci, finte o reali che fossero, spesso partivano da un soggetto e vi facevano ritorno dopo diversi passaggi (da qui la denominazione Frodi Carosello: come la giostra che gira). 
 
Le società che gestivano l’attività di compravendita erano alimentate da soldi di provenienza illecita messi a disposizione dalla cosca Grande Aracri. Il capo di imputazione n.122 fa riferimento ad esempio a centinaia di migliaia di euro affidati a Romolo Villirillo da Nicolino Grande Aracri ed in seguito utilizzati per le false fatturazioni di tre società con sedi a Castelvetro Piacentino, Cremona e Reggio Emilia. Una sola di queste, il Consorzio Edilstella, ha emesso e ricevuto fatture ritenute false tra il 2008 e il 2011 per oltre 16 milioni di euro.
 
I consulenti della PwC chiamati ad approfondire il tema hanno raccontato in aula, mostrando diverse slide riassuntive, che in relazione ai capi di imputazione di cui si sono occupati “si è rilevato un elevato numero di fatture a fronte delle quali non vi è evidenza del servizio reso”. Operazioni commerciali riconducibili alle frodi carosello i cui tratti caratteristici, per i consulenti, sono diversi.
 
1) Le società non versano l’Iva e rivendono la merce a prezzi inferiori all’acquisto, trasferendo a valle il risparmio.
 
2) Hanno una vita media di due anni per ridurre la possibilità di essere soggette a verifiche fiscali.
 
3) Risultano formalmente amministrate da soggetti diversi dall’imprenditore.
 
4) Una o più società intervengono nella catena della compravendita senza alcun contributo che non sia il rendere difficoltosa la ricostruzione dell’iter.
 
5) Le operazioni avvengono in un breve periodo temporale.
 
6) In generale le fatture non hanno una corrispondenza con merce realmente venduta. Molte frodi carosello riguardano compravendite di prodotti tecnologici: chiavette pen drive o schedine SD card. Migliaia di pezzi venduti e comprati senza che la merce esista oppure che esiste taroccata, come alcune partite di Sd card 32giga della Kingston.
 
Nel giro di fatture, aggiungono i consulenti d’ufficio, si distinguono due tipi di soggetti giuridici.
 
Le “società cartiere” sono quelle nei cui bilanci si genera un debito verso l’erario che non verrà mai pagato. Non presentano mai dichiarazioni fiscali ed hanno vita brevissima per sfuggire ai controlli.
 
Le “società filtro” si interpongono invece tra le cartiere e il destinatario finale con l’unico scopo di rendere difficile la ricostruzione del percorso della merce.
 
Si distinguono poi due tipi di operazioni: quelle “circolari” nelle quali la merce al termine di acquisti e cessioni torna in capo al primo venditore, quelle “non circolari” in cui l’acquirente finale ottiene la merce ad un prezzo inferiore e matura un credito d’Iva. In entrambi i casi i prodotti passano attraverso società estere comunitarie con operazioni non soggette all’imposizione fiscale.
 
Prendiamo una operazione analizzata dai consulenti per fare un esempio concreto.
 
Il 21 maggio 2010 MB Trading srl vende a CDI Technology srl 1300 SD card Kingston. Il 25 maggio la CDI vende le schede alla Doricart srl che il 18 maggio (cioè 7 giorni prima!) le rivende alla Multimedia Corporate Ltd con sede a Lugano. Il 31 maggio la società ticinese rivende tutte le schede alla MB Trading.
 
Il danno all’erario di questa operazione è pari a 51mila euro di debito Iva maturato e non versato dalla MB Trading e di 324 euro non versati dalla CDI Technology. Entrambe le società sono evasori totali. Il vantaggio fiscale dell’operazione per la consorteria è di 51.370 euro di credito Iva maturato dalla Doricart srl che guarda caso è l’unica società della filiera a presentare regolare dichiarazione Iva. In questa operazione non risulta effettuato alcun pagamento, a parte quello di Multi Media che salda il conto con Doricart due giorni prima di ricevere la relativa fattura.
 
Ce n’è abbastanza, secondo i consulenti, per ritenere che alla base dell’operazione non ci fosse nessuna reale attività commerciale di compravendita.
 
In un’altra operazione analoga la CDI Technology compra 938 netbook blu ma ne rivende 998 di colore bianco alla Sink srl. Anche alla fine di questo giro è la MB Trading a maturare un debito d’Iva di 31.431 euro che non verranno versati.
 
Tornano alla mente le parole del collaboratore Antonio Valerio: “Spremi uno dei nostri imprenditori e verranno fuori Iva e false fatturazioni”.
 
Ricostruire questo vasto, complicato ed efficientissimo sistema di “creazione di soldi” non deve essere stato cosa semplice per la Direzione Antimafia e per gli uomini della Guardia di Finanza e dei Carabinieri che vi hanno operato. Si trattava di un ramo specializzato di attività della ‘ndrangheta emiliana nel quale secondo l’accusa operavano professionisti con grandi competenze e prestanome o teste di legno di assoluta dedizione. A partire dai creatori del sistema: Paolo Pelaggi e Giuseppe Giglio, con famigliari annessi, già condannati in abbreviato. Per arrivare a Pasquale Riillo, a Mario Vulcano, Omar Costi, Gianni Floro Vito, Carmine Belfiore, Palmo e Giuseppe Vertinelli, che si stanno difendendo nel rito ordinario.
 
Avevano costruito un sistema societario all’altezza dei tempi, con grande capacità di movimento sui conti bancari e con nomi da Wall Street: Core Tecnology, GPZ Trading, Truk&Trade, Gompu&Games, Project Comunication, e via così.
 
Giuseppe Giglio, divenuto collaboratore di giustizia all’inizio del processo, ha raccontato molti dettagli delle frodi carosello ed una delle cose da lui svelate ai PM che più colpisce è come la ‘ndrangheta riuscisse a fare affari, impoverendo in ultima analisi la comunità onesta, anche attraverso i fallimenti delle società mandate al macero nella falsa fatturazione, come la Sice o la MD Trading.
 
Dice Giglio al procuratore Beatrice Ronchi nell’interrogatorio del 20 giugno 2016 che i fratelli Gaetano, nipoti di Grande Aracri, avevano deciso di fare saltare le loro aziende tra cui la Euroinerti. Rischiavano la bancarotta, ma intervenne Giglio e cosa fece? “Gli ho fatto un giro di fatturazione. Mi hanno emesso delle fatture alla Comit e alla Vimoter (società di Giglio) come se mi avessero fatto dei lavori. Poi però io non li ho pagati e loro non hanno rischiato la bancarotta perché le loro aziende sono saltate non per sottrazione di denaro nella società ma per mancati pagamenti”.
 
“In realtà avevano sottratto le risorse della società?” chiede Ronchi.
 
“Certo” risponde Giglio.
 
Ma lui aveva già deciso che avrebbe fatto fallire anche la propria Vimoter, e non pagare fatture ai Gaetano era solo un elemento in più.
 
“Abbiamo creato degli incassi che loro non hanno riuscito a prendere, e così hanno evitato la bancarotta”.
 
Aggiungiamo che prima dei fallimenti le società della ‘ndrangheta venivano ripulite degli affidamenti bancari e dei beni patrimoniali, per capire come anche l’onta della chiusura non era per gli affiliati un’onta ma un business.
 
Indigna apprendere che lo stato parallelo della mafia operasse con proprie leggi all’interno della legislazione italiana, traendo vantaggi da ogni possibile finestrella apribile sull’illecito nella propria attività economica.
 
E indigna ancora di più sapere che questo mondo parallelo trovava non solo finestre, ma portoni e corsie preferenziali aperti sugli affari illeciti che hanno infangato le nostre terre anche nei mesi del post terremoto 2012. Ne hanno parlato, in riferimento agli appalti nel comune di Finale Emilia, i consulenti della PwC nella precedente udienza, quella di giovedì 25 gennaio, e vale la pena approfondire le loro valutazioni. Lo faremo nella prossima puntata.
 
(da ‘Il guadagno nel fallimento‘ – Cgil Reggio Emilia)
 
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La Cgil di Reggio ha scelto una forma intelligente per seguire il processo Aemilia affidando a uno dei giornalisti più esperti della realtà locale, che è anche autore consolidato di opere di narrativa, lo sviluppo del dibattimento che va svolgendosi in questi mesi a Reggio Emilia. 24Emilia e io personalmente siamo particolarmente grati a Paolo e alla Cgil per averci concesso l’utilizzo dei suoi testi, anche nella consapevolezza che ciò possa contribuire a rendere più capillare la diffusione delle vicende legate alla penetrazione della ‘ndrangheta nella nostra provincia e a far sì che da una maggiore consapevolezza possano scaturire gli anticorpi affinché questi germi di malaffare possano essere definitivamente estirpati dal territorio emiliano. (n.f.)