Il golpe al buonsenso

I fatti delle ultime ore sembrano avere diviso l’Italia in due. Italia che, come sua abitudine, non ha tardato a costituire immediatamente le legioni di guerra. Da un lato la milizia contro Mattarella, che è già pronta al rogo delle streghe e a “scendere in piazza per fare la rivoluzione” (non meglio identificata); e dall’altro l’armata dell’hashtag variabile che sta volta sembra essere “io sto con Mattarella”, che lo divinizza per il coraggio di aver salvato l’Italia. 
Ciò che è certo è che mentre Di Maio e Salvini sono occupati tra dirette facebook e ospitate da Barbara D’Urso, c’è chi parla di crisi peggiore della storia della Repubblica. 
 
Quello che sembra differenziare questa crisi dalle altre è che non si tratta più di lotte intestine o di contrasto fra partiti; ciò che viene messo in discussione è la legittimità delle istituzioni e dei poteri nazionali e internazionali. Peggio, questa delegittimazione gode di un forte consenso popolare, che sembra proprio crescere in maniera proporzionale all’aumentare della squalifica delle autorità. 
 
All’origine del problema c’è la difficile (per ora apparentemente impossibile) impresa di costituzionalizzare forze anti-sistema, che, pur essendo tali, prima o poi con questo “sistema” si dovranno confrontare. 
 
I due partiti risultati vincitori delle elezioni devono accettare la responsabilità di creare un governo, preparare una lista di ministri, sottoporla al Presidente della Repubblica, il quale ha l’incarico di apporre la firma e assumersi a sua volta la responsabilità del nascituro esecutivo.
Il diritto costituzionale prevede che la scelta dei ministri sia formalmente demandata al Presidente del Consiglio, tuttavia ciò non esime il Presidente della Repubblica da esercitare una effettiva influenza nel determinare la maggioranza, specialmente in un sistema pluralista e politicamente disomogeneo come il nostro. 
 
Il Presidente della Repubblica deve, nell’esercizio delle sue funzioni, mantenersi al di fuori dei contingenti interessi partitici e al contrario assicurare al paese un governo che possa essere compatibile al contempo con la volontà popolare, con gli equilibri sovra-nazionali e con la Costituzione. 
Di conseguenza, un ruolo propositivo, seppur con somma cautela, può essere assunto dal Presidente della Repubblica, come del resto in passato è stato già ampiamente dimostrato (addirittura fino ad arrivare ad una co-stesura della lista dei ministri fra Presidente del Consiglio e della Repubblica, col governo Amato). 
 
Mattarella, pertanto, non è stato né un “traditore” o “attentatore” della Costituzione, perché ha al contrario esercitato i suoi poteri nel pieno rispetto della Carta e dell’interpretazione dottrinale della stessa… e neppure un salvatore della patria che ha deciso di immolarsi all’altare dell’ira funesta dei populismi per salvarci tutti, perché ha semplicemente fatto ciò che probabilmente è stato concordato a seguito di consultazioni con gli attori istituzionali nazionali e sovranazionali con cui, inevitabilmente, è necessario confrontarsi. 
 
Il Presidente della Repubblica ha semplicemente esercitato la sua funzione di garante, nel pieno rispetto delle sue prerogative, della Costituzione e degli equilibri politici internazionali, che sarebbero stati minacciati duramente dalla scelta simbolica di una nomina anti-Europeista. 
Infatti, anche se adesso proliferano specificazioni che sosterrebbero che la famosa: “guida pratica per uscire dall’Euro” scritta da Savona, in realtà non fosse altro che un’umile e personale manifestazione di perplessità su alcuni aspetti dell’Unione Europea, ovviamente il messaggio politico che Di Maio voleva trasmettere era lampante. 
 
Ora, anziché cercare di raggiungere una soluzione di compromesso, appunto, “di sistema” e istituzionale, (come il ruolo per cui si sono deliberatamente candidati richiede), queste forze hanno preferito affannarsi ad evocare il golpe e ad invocare goffamente l’articolo 90 della Costituzione (per altro indecisi sul capo d’accusa, visto che Di Maio ha annunciato sarà “attentato alla Costituzione” mentre la Meloni nella sua tempestiva diretta facebook ha parlato di “alto tradimento”). 
 
La messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica è una cosa seria, non uno slogan da Pomeriggio Cinque o da twit dell’ultima ora. 
Si parla di un reato a cui è addirittura arduo dare definizioni precise, visto che non è mai stato applicato. I casi di scuola, tuttavia, parlano di un qualche tipo di comportamento doloso a pregiudizio degli interessi nazionali, che sovverta l’ordine costituito, o che riveli informazioni segrete in tempo di guerra, violando il dovere di fedeltà ai cittadini. 
La Costituzione prevede la massima garanzia per il ruolo del Presidente della Repubblica, tanto che la procedura è molto complessa e richiede diversi passaggi, tra cui una votazione a maggioranza assoluta del Parlamento e un giudizio della Corte Costituzionale (di cui per altro Mattarella è stato giudice). 
 
L’opinione più condivisa dai costituzionalisti di ogni orientamento politico è che Mattarella abbia agito entro i limiti della Costituzione, e che abbia effettuato una scelta istituzionale, ritenendo che “la scelta di un certo ministro per una posizione chiave del governo mettesse a rischio gli interessi del nostro paese” (Massimo Luciani, costituzionalista e presidente dell’Associazione costituzionalisti italiani). 
Sono tutti concordi nel ritenere che quest’accusa contro Mattarella, alla luce dei fatti, sia assurda e semplicemente oltre ogni immaginazione. 
 
Pertanto, Meloni e Di Maio sanno benissimo che la loro richiesta verrà sicuramente respinta, sanno che sarebbe un gesto estremo e senza precedenti. 
Allora i casi sono due: o non si rendono conto della gravità delle illazioni che fanno e delle conseguenze politiche e istituzionali delle loro scelte: gridano al colpo di stato, alla dittatura finanziaria, all’alto tradimento, riempendosi la bocca di concetti più grandi di loro e francamente privi di alcun raziocinio…
Oppure se ne rendono conto benissimo, ma preferiscono strumentalizzare questa parola così accattivante ai più (“impeachment”, per altro inesistente nel sistema Italiano e scorretto formalmente) per aizzare le folle a questa tanto agognata rivoluzione (di cui sopra). 
Penso si tratti di una combo delle due cose, che tuttavia inconsciamente o no centrerà anche l’obiettivo. Infatti, gli slogan di sempre e la retorica della prima ora usata dal Movimento 5 Stelle del “non ci fanno governare”, “ci imbavagliano”, “la casta manipola l’informazione e fa ostruzionismo in Parlamento” et compagnia bella, trova il suo culmine e pretesto perfetto in queste ore. Quale migliore occasione di un supposto impedimento a governare per dimostrare agli elettori che avevano ragione, che sono tutti contro di loro, che c’è una congiura. 
 
Il comportamento del Presidente della Repubblica può essere contestato per la sua opportunità politica; tuttavia non può in alcun modo essere sindacato per la sua costituzionalità, anche perché, come è stato segnalato già da diverse fonti, ci sono stati almeno tre precedenti analoghi negli ultimi 25 anni di Repubblica. 
Curioso, tra le altre cose, ricordare come il Movimento Cinque Stelle aveva già farneticato circa la messa in stato d’accusa del presidente Napolitano, nel 2013, per aver abusato dei suoi poteri nominando il governo tecnico Letta. Anche in quel caso, naturalmente, un nulla di fatto. 
Questa delegittimazione delle istituzioni, nazionali e sovranazionali, e manipolazione delle Costituzione (che non è la più bella, ma ormai la più strumentalizzata del mondo), è veramente irresponsabile e pericolosa. 
 
Solidarietà al Presidente Mattarella, che, indeciso se ridere o piangere, possa presto uscire da questa buia notte, e possa andare così a prendere qualche ripetizione di Diritto Costituzionale da Di Maio (se almeno quell’esame lo ha dato); da Di Battista (che ha annunciato che forse ora torna dai suoi viaggi in Sudamerica); da Salvini (tra un salotto di Giletti e uno della D’Urso) e dagli immancabili espertissimi di facebook e twitter che ne sanno sempre una più del diavolo.