Governi chi ha vinto

Benché sia una pessima legge elettorale, il Rosatellum ha consentito agli italiani di stabilire con sufficiente chiarezza chi abbia vinto e chi abbia perso.
 
I vincitori sono due: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. A loro, e ai molti punti di programma in comune tra Movimento 5 Stelle e centrodestra, spetta per primi la responsabilità di trovare quelle larghe intese di cui per anni si è vagheggiato con altri protagonisti, oggi chiaramente sconfitti.
 
Si tratta probabilmente di una lacuna analizzabile secondo i canoni della riflessologia, ma trovo del tutto surreale la confusione con cui il Partito democratico, nelle sue mille vacue incarnazioni, vada scannandosi sulla partecipazione alla futura eventuale maggioranza o addirittura a un prossimo governo.
 
Il 4 marzo 2018 è la data di conclusione terrena di un’esperienza politica denominata centrosinistra che ha accompagnato con alterne fortune la vita politica italiana in una prima fase negli anni Sessanta e in una seconda fase nel passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo.
 
Non è certo questo il momento di prolungare artificiosamente un decesso biopolitico.
 
Si tratta, viceversa, di lasciare campo ai protagonisti dell’oggi, cui gli italiani hanno consegnato una larga fiducia, e ripartire dai semi superstiti nella società. Ciò presuppone un lungo periodo di osservazione, di attesa, di umile riconoscimento degli errori commessi – e la ricerca di quel senso del Sé, qualora esista, da consegnare eventualmente alle generazioni che verranno.
 
Molti elettori democratici, su Twitter, hanno manifestato sin da ieri un hashtag il cui significato può non essere colto solo da chi in malafede non lo voglia cogliere: #senzadime, ossia un’assoluta contrarietà, di fronte all’ipotesi di una qualsiasi forma di negoziato o trattativa con gli avversari vincitori. Viene davvero da pensare che la base residua orfana sia migliore del gruppo che l’ha condotta sino a tanta rovinosa batosta.
 
Stare all’opposizione non è un destino. Ogni progetto politico deve puntare al miglioramento della società e dunque a una prospettiva di governo. Ma il gioco democratico non può essere eluso. E milioni di italiani non sopportano più la prevalenza della furbizia sulla sincerità.
 
Collocarsi all’opposizione può e deve significare ritrovare se stessi, allontanarsi dalle seduzioni del potere, ridefinire il senso di una propria identità – e studiare, approfondire, reimparare ad ascoltarsi prima di parlare. Attrezzarsi a comprendere il mondo che cambia, allargare gli orizzonti, alzare lo sguardo e abbassare i volumi.
 
Da emiliani, viviamo in una enclave che nelle nuove mappe del voto rassomiglia a una riserva indiana – ed è una riserva sempre più ridotta. Non si commetta l’errore di sentirsi, per questo, più bravi degli altri. Sarebbe un alibi di scarsa efficacia e potrebbe rivelarsi fatale.