Cresce l’export, ma restano criticità. Osservatorio Cgil su economia reggiana

La Cgil di Reggio Emilia anche quest’anno ha presentato il report dell’Osservatorio Ires sull’economia e il lavoro nella Provincia di Reggio Emilia.

Un lavoro  prezioso che si propone di andare oltre le tradizionali analisi congiunturali e si interroga su quali trasformazioni stiano investendo l’economia di questo territorio, con quali performance e quali conseguenze sulle caratteristiche produttive, di mercato e sull’andamento occupazionale.  Dedicando per la prima volta un ampio focus alla condizione giovanile.

 
Il report è stato presentato da Giuliano Guietti e Marco Sassatelli di Ires Emilia Romagna durante una tavola rotonda alla quale hanno partecipato Guido Mora, segretario Cgil Reggio Emilia; Mauro Severi, presidente Unindustria Reggio Emilia; Raffaella Curioni, assessora Comune di Reggio Emilia e Mauro Migliavacca, docente dell’Università di Genova.
 
Di seguito i principali dati emersi.
 
EXPORT
 
Il primo dato che possiamo evidenziare è un dato positivo: le esportazioni crescono (+8,7%) e crescono di più rispetto ai livelli regionale (+6,7%) e nazionale (+5,4%) confermando la forte vocazione reggiana all’export e la specializzazione del territorio come nodo di rete dell’interscambio regionale verso i mercati esteri. La propensione all’export di Reggio Emilia, intesa come quota delle esportazioni sul valore aggiunto dell’economia del territorio, è passata infatti dal 51,5% al 61,3% dal 2008 al 2017. Con un risultato nettamente superiore, ad esempio, a quello regionale.
 
Allo stesso tempo questo dato conferma la polarizzazione, già emersa nelle analisi degli anni passati, tra le attività più orientate all’export e quelle imprese più rivolte al mercato interno creando una sorta di scollamento tra i due ambiti, cioè  tra l’economia del territorio e quella di chi opera sui mercati internazionali. Si può addirittura parlare di un effettivo dualismo della struttura produttiva reggiana.   In questo contesto, dove l’economia italiana prosegue il suo lento cammino di crescita (+1,5%)  in atto da 20 mesi, l’economia di Reggio Emilia evidenzia luci e ombre e un andamento più incerto.
 
PIL
 
Il Prodotto interno lordo è cresciuto dell’1,3%, fermandosi sotto la media regionale e nazionale. Non solo, si attesta anche al di sotto delle economie delle province del sistema manufatturiero della via Emilia.  Parma cresce infatti per l’1,8%, Modena per il 2% e Bologna per l’1,9%.
 
Reggio Emilia non è ancora riuscita a colmare il crollo di valore aggiunto registrato dal 2008, restando ancora ad una distanza di 7 punti percentuali,  a differenza delle province limitrofe che hanno sostanzialmente recuperato.
 
PRODUTTIVITA’
 
Per niente buono il dato sulla produttività del lavoro complessiva Reggio Emilia che si colloca al di sotto (-0,5%) dei livelli registrati nel 2004, in controtendenza rispetto al trend regionale (+0,4%) e nazionale, per effetto di una bassa performance dei settori delle costruzioni e del terziario. Anche il settore manifatturiero, in cui prevale l’incremento di produttività (+1,4% in media all’anno), evidenzia performance inferiori a quelle regionali (+1,9% in media all’anno).
 
Allarmante il dato che nel 2017 vede, su scala regionale, ridotti gli investimenti delle imprese al 74% rispetto al 2008, tendenza confermata anche dalla riduzione del volume degli impieghi bancari nel territorio reggiano.
 
E’ da segnalare inoltre una criticità sulla prevalenza d’impiego degli investimenti verso il rimpiazzo degli impianti preesistenti piuttosto che sull’innovazione.

 
Il quadro che si delinea per il 2017 quindi  ci rappresenta un’economia le cui prospettive non sono ancora consolidate in termini di crescita nel ciclo economico generale.
 
Il territorio si caratterizza invece come una specie di hub, di piattaforma industriale per l’interscambio con i mercati internazionali, prevalentemente legati all’area dell’euro, dove sono collocati operatori più integrati con le economie esterne al territorio che con il sistema produttivo e del lavoro territoriale.
 
La difficoltà a far ricadere le eccellenti performance di mercato sul benessere del territorio determina pertanto le incertezze sui dati occupazionali e le perduranti instabilità dei settori legati alla domanda interna locale.
 
OCCUPAZIONE
 
Se guardiamo ora i dati sull’occupazione vediamo che nonostante una ripresa post crisi, anno su anno, a Reggio Emilia non c’è ancora stato un recupero pieno dei valori 2008: registriamo infatti ancora un gap pari all’1,5% del numero assoluto di occupati mentre a livello regionale si registra una crescita 0,6%.
 
I posti di lavoro disponibili sul territorio, secondo l’elaborazione di Prometeia,  sono cresciuti lievemente (+0,2%) rispetto al 2016, ma rimangono ancora molto al di sotto (-4,2%) del livello registrato nel 2007.

 
Il numero di avviamenti nel 2017 aumenta del 20,1% per effetto della crescita (24,5%) dei contratti a tempo determinato che compensano l’ulteriore caduta dei contratti a tempo indeterminato di lavoro dipendente (lavoro a tempo indeterminato, apprendistato e coordinato continuativo) che scendono anche nel 2017 (-1,3%).
 
Riprende quindi la concatenazione che vede i contratti a tempo determinato anticipare il flusso dei contratti a tempo indeterminato, tipica delle fasi di ripresa economica, tuttavia i contratti a tempo indeterminato in senso stretto rappresentano appena l’8,7% del totale dei contratti di avviamento 2017 (in ulteriore drammatica contrazione rispetto al 11,8% dei contratti di avviamento registrati nel 2016) mentre il resto dei rapporti oggettivamente precari sotto vario titolo sono il 91,3% sul totale degli avviamenti.
 
Viceversa si conferma in aumento anche l’incidenza dei contratti di lavoro in somministrazione (29,3% contro il 28,1% del 2016) e di lavoro intermittente quasi triplicato nel corso del 2017.
 
Ha ripreso a crescere anche l’indice del numero di contratti pro capite, salito da 1,65 del 2016 a 1,69 nel 2017. In sostanza le persone (“teste”) coinvolte da avviamento al lavoro sono molte meno dei contratti rilevati.
 
PRECARIETA’
 
Come si evince anche dai dati appena citati relativi agli avviamenti cresce l’utilizzo volante e precario della manodopera e scapito della stabilizzazione. L’aumento della media di rapporti di lavoro indica una strutturalità della precarizzazione nel mercato del lavoro reggiano. La precarizzazione ha colpito in particolar modo i lavoratori nella fascia di età compresa tra 25 e 44 anni : il 51,6% del totale degli avviamenti pro capite è concentrato in questa fascia di età, con un numero che va da 1 a più 20 avviamenti lavoro nell’arco di un solo anno.
 
E’ preoccupante anche la situazione di precarietà che coinvolge i lavoratori over 45 anni con il 27,6% del totale di avviamenti pro capite.
 
CONDIZIONE GIOVANILE
 
Un focus di approfondimento specifico è dedicato, nel rapporto di quest’anno, alla condizione lavorativa dei giovani a Reggio Emilia.
 
Ne emerge un quadro ben più allarmante di quanto si potesse pensare. Da un lato vediamo infatti una forte riduzione del peso dei giovani sul totale della popolazione residente e dall’altro un deciso peggioramento della loro condizione sul mercato del lavoro: meno occupati, con contratti più precari e salari più bassi, più disoccupati e più inattivi.
 
In generale quando si parla di giovani nel dibattito pubblico si guarda principalmente al tasso di disoccupazione, che da solo non spiega la complessità della crisi che i giovani stanno vivendo.
 
Dai nostri dati emerge in primo luogo un problema di tipo demografico: cala la popolazione giovanile e soprattutto la fascia d’età tra i 30 e i 34 diminuisce, dal 2007, del 30%, pari a oltre 13.000 residenti in meno. Il dato è ancor più significativo se si considera che nello stesso lasso di tempo la popolazione complessiva è cresciuta di quasi 32.000 unità (+6,4%).

 
Oltre al calo della natalità questo dato è legato anche al rallentamento dei flussi migratori, che sinora avevano compensato questa dinamica negativa, e al trasferimento della residenza all’estero.
 
Nonostante la platea si sia ridotta numericamente i giovani stentano a trovare una collocazione adeguata sul mercato del lavoro.
 
Nel raffronto con il 2004 il tasso di occupazione passa dal 44,5% al 22,6% per i giovani da 15 a 25 anni di età e il valore degli inattivi cresce dal 51,1% al 70%. Un +19% di inattivi, pur considerando che si tratta di una fascia di età in periodo di scolarizzazione, peraltro in aumento, lascia intendere che il numero di cosiddetti neet (not in education, employment or training) cioè  di giovani non impegnati nello studio, nel lavoro e nella formazione sia considerevolmente aumentato.
 
Anche nella fascia di età 25-34 anni il tasso di occupazione scende dall’86,5% al 75,6% e il valore degli inattivi passa dal 10,7% al 20,1%.
 
Per quanto riguarda i dati relativi alle assunzioni e quelli, di fonte Inps, sulle retribuzioni si conferma che le forme contrattuali con le quali una parte rilevante, e crescente, dei giovani entra nel mercato del lavoro corrisponde ad occupazioni più precarie e meno pagate.
 
Quindi, in conclusione, rispetto al recente passato, ci sono molti meno giovani e quelli che ci sono invece di essere risorsa da valorizzare sono meno occupati e, se occupati, sono più precari e retribuiti meno. Tutto ciò rischia di avere ripercussioni pesanti sulla sostenibilità sociale, economica e demografica del Territorio.